“Quelli bravi” esistono e non dicono “not all men”
La tragedia di Palermo avvenuta nelle scorse settimane a danno di una giovane ragazza, violentata da sette ragazzi, ha fatto indignare l’intero paese. Oltre a messaggi di vicinanza alla vittima, nelle ultime settimane è cresciuta la sensibilizzazione sulla violenza di genere e sui femminicidi, con particolare rilievo sulla diffusione della consapevolezza del fatto che all’origine vi sia un sistema di potere ben delineato.
“Lo stupratore è il figlio sano del patriarcato”, questa la frase che nelle ultime settimane si legge ovunque, dai social network agli striscioni che accompagnano le manifestazioni femministe. Questo perché violenza sessuale e femminicidio sono solo la punta di un iceberg di cui fanno parte diversi comportamenti, dalle battutine sessiste agli stereotipi di genere; questi, seppur spesso ritenuti erroneamente innocui, non fanno altro che portare avanti una legittimazione dell’oggettificazione della donna. E non finisce qua, perché vi è una delegittimazione degli atteggiamenti riportati prima, spesso presi con troppa leggerezza in quanto considerati semplici “scherzi” o “battute” (e non dimentichiamo la classica frase “Ma che pesantezza! Ma fattela una risata!”). Insomma, il tutto viene sminuito: le donne dovrebbero prendere queste battute nei loro confronti con meno pesantezza in quanto “si sa che certi uomini sono così”. Peccato che questa continua leggerezza non faccia che legittimare l’esistenza di un rapporto di subordinazione, dove ci sarà sempre qualcuno che si sentirà in diritto di esercitare il proprio potere nei confronti di una donna.
Finché qualcuno legittimerà una battuta sessista, ci sarà sempre qualcun altro che si sentirà legittimato a insultare, molestare, violentare, uccidere.
È questa la cosiddetta cultura dello stupro, un nome molto forte per indicare quell’insieme di piccoli gesti che, nonostante possano passare in secondo piano, non sono altro che il riflesso di una dottrina patriarcale che in qualche modo viene assorbita, indistintamente da uomini e donne, a partire dall’infanzia e che può avere riscontri più o meno gravi. Si può senza dubbio affermare che un fischio per strada e una violenza sessuale non siano sullo stesso livello di gravità, ma saremmo ciechi se ne negassimo la matrice comune.

Eppure, questo mancato riconoscimento nella società patriarcale pare provenire dagli stessi uomini. Sono parecchi, infatti, gli uomini che, in risposta alle polemiche giustamente scatenate dall’ennesima tragedia, si fanno avanti per ricordarci che, in effetti, non tutti gli uomini sono violenti. Un agguerrito “not all men” (= “non tutti gli uomini”) che, oltre a non risolvere in alcun modo la situazione, non contribuisce a sensibilizzare sul tema della cultura patriarcale. Non solo: quando si narra di femminicidi e violenze, spesso si tende a deumanizzare i carnefici definendoli “bestie”, “mezzi uomini”, “malati”; si fa ancora fatica a riconoscere che si tratta di uomini come tutti gli altri. “Not all men”, dunque, non sia mai che qualcuno si senta esposto, gli uomini sono da lodare se non menano la fidanzata e se non molestano le sconosciute, per cui devono sentirsi in dovere di metterlo in chiaro, come se non fosse il minimo. La leggerezza con cui si attua questo atteggiamento di estremo soggettivismo non fa che lasciare a sé stesse le vittime e lasciare ancora una volta irrisolto un sistema che perpetra subordinazione e discriminazione, facendo finta di nulla, senza guardarlo negli occhi.
È ovvio che non tutti gli uomini uccidono o violentano, per cui risulta alquanto fastidioso sentire per l’ennesima volta qualcuno dire “io non sono come loro”. Anche perché, come spiegato in precedenza, questo problema sociale non si limita solo ai gesti estremi, che costituiscono solo la punta di un iceberg ben più grande.
“Nessuno è innocente se crede di dover rispondere solo di sé”, aveva scritto Michela Murgia. Davanti a un’ingiustizia che coinvolge l’intera società, anche gli uomini hanno il compito di agire concretamente per prendere le distanze dal patriarcato, solo così si potranno davvero definire “diversi da loro”.
Tutti noi, uomini e donne, abbiamo legittimato la cultura dello stupro almeno una volta nella vita. Prendere le difese di una ragazza quando viene molestata da qualcuno, non stare zitti quando un amico o un parente fa una battuta sessista, intervenire contro episodi di sessismo sul lavoro o in famiglia, non sminuire l’esperienza di una donna che ha subito violenza… questi sono solo esempi di come un uomo possa agire concretamente per sensibilizzare sul problema. È evidente che occorre un cambiamento radicale, un processo di educazione che deve tuttavia vedere la cooperazione di entrambi i sessi.
Nessuno ha mai negato che non tutti gli uomini siano violenti, ma la leggerezza con cui viene detto “non siamo tutti così” è una presa di posizione contro il riconoscimento delle proprie responsabilità in quanto collettività, una scelta di leggerezza contro la pesantezza del potere patriarcale, la scelta di voltarsi dall’altro lato e lasciare le cose come stanno, senza agire. E questo non vi rende diversi dagli altri.
Monica Poletti
Immagine di copertina: Pinterest
