Ci sono film belli, ci sono capolavori e poi ci sono film che devono essere guardati a una certa età: non prima, non dopo.
Il perché è chiaro: affrontare le tragedie e i successi di una certa fase della propria vita e poi vedere un personaggio sostenere le medesime sfide, questa volta al di là dello schermo, è confortante, in un certo senso. Ci fa sentire meno soli nelle nostre battaglie.
Ci sono film, dunque, che vanno visti a vent’anni.
Un’età che appare solida e piena di promesse, ma che in realtà è un vortice d’incertezze: si è adulti ma ci si sente bambini, il numero di strade da prendere può apparire enorme e spaventoso, talvolta ci si sente troppo indietro rispetto agli altri. C’è chi ha figli, chi non ne vuole, alcuni iniziano a sposarsi e altri non hanno nemmeno mai avuto una relazione, qualcuno rincorre il lavoro dei propri sogni, altri non ne hanno affatto il coraggio e si accontentano di altro: è un periodo scomodo, dove sentirsi al proprio posto non è affatto scontato.
La tradizionale narrazione di questi famigerati vent’anni è però estremamente ottimista, una sequela di feel good movies che ci raccontano di come le cose sono destinate ad andare bene. Eppure i giovani d’oggi sentono sulle spalle il gravare d‘un’incertezza latente: economica, sociale, politica, che è stata esacerbata dalle crisi degli ultimi tre anni. E allora abbiamo bisogno di storie che parlino di errori (anche ripetuti), di insicurezze, di solitudine e di voglia di riscatto, ma anche della ricerca spasmodica di colmare i vuoti delle nostre vite con i rapporti umani, perché la sfera intima è ancora l’unica intaccata dal senso di smarrimento della nostra epoca.
La lista, che non contiene spoiler, mira a consigliare cinque titoli per chi si accinge ad affrontare per la prima volta la vita da giovane adulto o per chi ci è già dentro fino al collo.
Frances Ha (Noah Baumach, 2012)

Greta Gerwig è Frances, aspirante ballerina che è senza fissa dimora e che, a conti fatti, non fa nemmeno parte effettiva della compagnia di danza in cui lavora.
La pellicola segue la quotidianità di Frances, una giovane donna che vive in un mondo pieno d’incertezze e dove ogni cosa è precaria, senza alcuna possibilità d’appiglio. Una storia di fallimenti, uno dopo l’altro, che pur essendo raccontati con la leggerezza tipica della scrittura di Baumbach e di Gerwig non perdono del loro permeante significato. E nel caos di questa vita newyorkese emerge la vicenda di Frances: vitale, appassionata, incapace di mollare – una storia incredibilmente quotidiana e vicino a noi.
Vivarium (Lorcan Finnegan, 2019)

Jessie Eisenberg e Imogen Poots sono una coppia spensierata a caccia della loro prima casa. Durante la visita di una villetta in un quartiere insolito, quasi un alveare, si trovano improvvisamente soli in quello che sembra il dipinto di un quartiere perfetto: villette a schiera, prati all’inglese e tempo sempre splendido. Incastrati in una realtà apparentemente idilliaca, a complicare le cose è il neonato che viene loro misteriosamente recapitato e che dovranno crescere come un figlio.
Dissacrante, distopico e inquietante, Vivarium racconta della solitudine intrinseca delle famiglie moderne, incapaci di comunicare col resto del mondo. Ma parla anche di ciò che significa divenire genitore al giorno d’oggi e delle insicurezze delle giovani coppie che non sempre sono pronte, vuoi per una relazione troppo poco solida, vuoi per motivi economici e sociali, ad avere figli.
Return to Seoul (Davy Chou, 2023)

Ji-min Park interpreta il ruolo di Freddie, voce di quei giovani adottati da famiglie di culture differenti e cresciuti senza conoscere realmente le proprie radici. Freddie, di origini sudcoreane ma adottata da una coppia francese, si sente irrisolta: proprio per questo decide di affrontare un viaggio inaspettato da Tokyo a Seoul per connettersi con la propria famiglia biologica, dopo anni di silenzio e freddezza da parte dei genitori.
La domanda che sorge nella piovosa capitale sudcoreana però è: riunirsi con la propria famiglia basterà a colmare quel senso di smarrimento che la perseguita da una vita? Tornare a Seoul è ciò di cui ha bisogno per colmare quel buco nero che ingoia ogni relazione e affetto?
Capolavoro francese, Return to Seoul affronta il tema moderno delle radici spezzate, ma anche il delicato e intramontabile rapporto tra madri e figlie.
Oh boy – Un caffé a Berlino (Jan-Ole Gerster, 2013)

Quella di Niko Fischer, interpretato da Tom Schilling, è una normale giornata di vagabondaggio per Berlino – non gli resta molto altro da fare, in realtà. Tutto nella vita di Niko va a rotoli: ha lasciato gli studi, è disoccupato e suo padre gli ha tagliato i fondi, la sua ragazza l’ha lasciato e sembra che ogni singolo aspetto della vita di Niko sia destinato al fallimento.
Ma è proprio durante quella che dovrebbe essere una normale giornata che Niko incontra – e si scontra – con i personaggi più peculiari e con le relative storie, in un vortice che lo spingerà a riflettere sulla propria esistenza, vessillo di una generazione disillusa e ripiegata nella propria introspezione, perché tutto il resto le è precluso.
Työt Työt Työt (Alli Haapasalo, 2022)

L’inverno finlandese delle tre amiche Mimmi, Emma e Rönkkö è raccontato attraverso le tre domeniche che cambieranno le loro vite. Le tre scambiano racconti delle loro vite romantiche tra un turno e l’altro del fast-food dove lavorano: c’è chi di loro cerca l’amore ma è spaventata dall’impegnarsi, chi si sente costantemente in difetto e vive con imbarazzo e disagio gli incontri con l’altro sesso. Un film piacevole ma tagliante sulla scoperta dell’amore e del sesso da un punto di vista orgogliosamente femminile e spigliato.
Rebecca Isabel Siri
Crediti immagini: Amazon, MUBI, Wikipedia, Magazine.HD, New York Times, CineFatti
