Molestie all’università: il caso UniTo

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Nelle ultime settimane l’Università degli studi di Torino si è resa tristemente famosa per i casi di molestia e abusi sessuali, perpetrati a danni di studentesse e dottorande, che vedono coinvolti, per ora, due professori.

Uno di questi, docente ordinario di estetica presso il dipartimento di filosofia e scienze dell’educazione, è stato accusato di molestie da un gruppo di dottorande. Sospeso per un mese tramite decreto rettorale, il professore ha poi sporto denuncia verso ignoti per calunnie. Le dottorande hanno denunciato i fatti nel febbraio 2023 alla consigliera d’ateneo, inviando poi una lettera alla sezione di filosofia l’8 marzo dello stesso anno. Da quel momento si apre un travagliato percorso, che giunge al termine durante la seduta del Consiglio di amministrazione del 21 dicembre 2023: in quell’occasione l’ateneo recepisce la sanzione indicata dal codice di disciplina di una sospensione del servizio di un mese. Le studentesse però non ricevono comunicazione riguardo la conclusione della procedura e, ad oggi (22 febbraio, ndr), l’ateneo non ha ancora permesso l’accesso agli atti, nonostante la richiesta delle studentesse. Il dipartimento di filosofia e scienze dell’educazione viene a sapere della sospensione tramite una mozione da votare, riguardante le lezioni che avrebbe dovuto tenere durante il provvedimento di sospensione il docente accusato.

Durante il consiglio di dipartimento omnibus di inizio febbraio 2024, il direttore di dipartimento, Graziano Lingua, e la coordinatrice della sezione di filosofia, Daniela Steila, chiedono alle e ai rappresentanti di scrivere un documento da presentare al dipartimento, prendendosi l’impegno di presentarlo al rettore.

Una revisione dello statuto sulle molestie, un potenziamento del centro antiviolenza d’ateneo, maggiore trasparenza e una commissione paritetica: queste alcune delle proposte del documento redatto dai rappresentanti, presentato il 22 febbraio 2024 durante un’assemblea pubblica. L’assemblea, promossa da rappresentanti e direttore di dipartimento, ha rappresentato un momento di discussione profondo e schietto, che ha permesso a docenti e studenti di interfacciarsi, costruendo uno scambio costruttivo. Studenti e studentesse rivendicano un «protagonismo studentesco in grado di farsi portavoce di un cambiamento che passa anche, ma non solo, da passaggi formali come questo», mentre alcuni docenti dicono di essere «un po’ arrabbiati», come afferma Steila. Spiega infatti che i docenti hanno saputo del provvedimento di sospensione solo «perché era necessario votare per decidere sulle lezioni», procedendo, poi, a rendicontare minuziosamente l’epopea che le dottorande hanno dovuto affrontare perché la segnalazione venisse presa in carico dall’università. «Serve un luogo (in riferimento al centro antiviolenza in università, ndr) in cui ci sia personale competente, pagato dall’università, non di volontari,- continua la docente – l’università deve prendersi il compito di usare le tasse per delle cose che possono essere d’aiuto». Il vice vicario Federico Petrucci, invece, invita tutti a informarsi, ascoltare e formarsi, dal momento che quello con cui abbiamo a che fare «è un problema sistemico-culturale». Grande assente è però il rettore Stefano Geuna: invitato formalmente alla discussione, non si è presentato. «Forse perché non sa cosa dire», commenta un docente di storia contemporanea.

Il documento viene approvato dal consiglio di dipartimento l’11 marzo 2024, mentre il 18 marzo si è tenuta al Campus Einaudi un’assemblea organizzata dal coordinamento antifascista UniTo, a cui è stata invitata tutta la comunità accademica.

Queste iniziative sono un segnale positivo: la segnalazione delle dottorande non si è fermata al provvedimento formale ma, al contrario, ha avuto eco e risonanza nelle aule universitarie. Studentesse e studenti hanno organizzato spazi di mobilitazione e discussione, per dire in prima persona basta a molestie, abusi e violenze. Questo è la prova che i temi delle disuguaglianze e della violenza di genere sono, purtroppo, tremendamente attuali.

D’altra parte è sicuramente sconcertante vedere che, anche all’interno delle mura universitarie, soprusi e violenza non rappresentano un caso isolato, ma piuttosto fenomeni diffusi, che riproducono fedelmente meccanismi ben radicati all’interno della nostra società. Questo perché l’istituzione universitaria, benché si proponga come motore propulsore di cambiamenti e innovazioni culturali, è inserita all’interno di una realtà dove visioni arretrate e reazionarie ancora vedono la donna come subalterna all’uomo. Una società dove molestie, abusi e femminicidi non sono che la punta dell’iceberg di un problema molto, molto più profondo. Una società che, nonostante gli scossoni culturali degli ultimi anni, si mostra a più riprese incapace di superare problematiche tanto profonde. Viene quindi da porsi un interrogativo legittimo: è possibile abbattere definitivamente i muri della disuguaglianza, cioè assicurarsi che l’uguaglianza per le donne non sia solo formale ma anche, e soprattutto, sostanziale in una società di sfruttamento, oppressione e sopraffazione?

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