MAYA, l’ultimo album di Mace

Lo scorso 5 aprile Mace ha pubblicato il suo ultimo album MAYA, una raccolta di 16 brani che seguono il precedente successo di Oltre (2022) e OBE (2021). Sedici brani che racchiudono le voci dei principali talenti della popular music italiana contemporanea, tutti radunati sotto l’ala protettrice di colui che si sta rivelando il produttore più promettente degli ultimi anni.

Sebbene Mace stesso abbia dichiarato che il titolo alluda al Popolo dei Maya, è innegabile che si tratti di una parola che rimanda a diversi campi semantici. In latino Māius è il mese di maggio, richiama immediatamente la primavera e i temi di fioritura e rinascita. Nella mitologia ellenico-romana Maia è la pleiade madre di Ermes (Mercurio), dio degli scambi, dei viaggi della comunicazione in tutte le sue molteplici forme, protettore degli artisti e dei poeti, intermediario tra il mondo dei vivi e gli inferi. Il velo di Maya della filosofia induista che cela la realtà impercepibile delle cose, concetto in cui l’artista crede fermamente. È proprio da quest’ultimo che Mace trae ispirazione per la traccia Il velo di MAYA, unica dell’album priva di featuring dove l’artista dimostra le sue capacità compositive e musicali richiamando le sonorità della world music e dimostrando come, anche con un sintetizzatore, sia possibile produrre un sound che si allontani dalle solite basi da “beatmaker”. Ma tra i tanti concetti a cui evoca il titolo dell’album, il più significativo è forse il secondo di quelli sopra elencati: madre del dio della comunicazione. Sì, perché il progetto di Mace racchiude le principali voci del panorama musicale italiano degli ultimi anni. Tra i nomi che figurano all’interno dell’album abbiamo personalità della sfera indie (Frah Quintale, Fulminacci, Coez, Franco 126, Cosmo), del rap (Gué, Gemitaiz, Salmo, Fabri Fibra, Ernia, Rkomi) del pop come Marco Mengoni, rivelazioni del 2023 come Bresh e nomi forse meno conosciuti quali Joan Thiele, Centomilacarie e molti altri per un totale di ben 28 voci tutte radunate sotto l’egida del producer.

crediti: Cosmopolitan

Già da un primo ascolto, ciò che salta subito all’orecchio è la varietà di generi esplorati da Mace, attraverso sound che passano dalla pop psichedelico all’urban più radiofonico. Tra queste ultime Ruggine feat. Chiello e Coez è il brano pubblicato nel mese di marzo che anticipa l’uscita dell’album, proprio come nel 2021 fece La Canzone Nostra con OBE – e chissà se anche in questo caso non si rivelerà per Chiello una fortuna come quella che ebbe Blanco in seguito al successo di quell’anno. Questa moltitudine di suoni, oltre a svelare la versatilità del producer, è una conseguenza della formidabile capacità di Mace di utilizzare la musica per far emergere lo stile e la vocalità di tutte le 28 voci delle sue collaborazioni. Lo fa anche attraverso la combinazione di cantanti di provenienza diversa, lontana, se non diametralmente opposta e dando luogo a una serie di contaminazioni perfettamente in linea con il clima di innovazione che sta (forse finalmente) abbracciando la popular music italiana del momento.

Un esempio, Fuoco di Paglia feat. Marco Mengoni, Gemitaiz e Frah Quintale alias pop r&b, rap e hip hop filo-indie (generalizzando). In questo brano è possibile ascoltare come Mace dia valore alla diversità dei vari stili dei tre cantanti, con un sound che ha qualcosa di ognuno di loro, in un’ottica quasi postmoderna. E si potrebbe sostenere che l’album nella sua interezza è costruito all’insegna della postmodernità: un mosaico costituito da molteplici generi della popular music che, come pregiati tasselli, risplendono ancora meglio nella loro unione e interezza. Un vero e proprio musema di stili, ispirazioni, influenze che ricordano i suoni di ogni parte del mondo (ascolta Ossigeno). Musiche in un certo senso citazionistiche che generano un’ampia varietà melodica. Un vero e proprio album immersivo, perfetto per gli ascoltatori dai gusti più eclettici.

Mace Mercurio, si potrebbe dire se pensiamo al fatto che il mix di sonorità variegate derivi proprio dalla passione dell’artista di viaggiare per il mondo, di cibarsi di musica e di musiche come ingredienti da inserire per perfezionare la propria ricetta per il melting pot. Inoltre, da buon figlio di Maya, i vari singoli sono il risultato di un progetto creato da un intenso lavoro di squadra in un casolare nella campagna toscana, dove i 28 artisti e il team di lavoro discografico sono stati radunati per un progetto collettivo che racchiudesse tutto lo sviluppo musicale di Mace e dei suoi fedeli artisti.

Tra i temi ricorrenti nei contenuti testuali ritroviamo lo smarrimento di sé, il ritrovarsi e rigenerarsi. Il ritorno al mondo reale dopo aver fatto un giro su all’inferno e non mi sembra vero (Ruggine, d’altronde colui a cui era concesso viaggiare tra i due mondi era proprio il figlio della pleiade Maya). In Tutto fuori controllo, ad esempio, la musica ci trasporta in una dimensione semi-onirica che restituisce una sensazione di fluidità e leggerezza. Il testo, invece, ci parla di perdita del proprio Io, di paura del fallimento e di speranza di ritrovare la retta via dantesca attraverso l’amore.

Portate sempre un po’ di batticuore oh voi che entrate. […]

E forse un giorno mi vedrai arrivare

Dove si incrociano tutte le strade, capita anche a te

Nuovo Me invece, restituisce proprio il concetto di perdere la propria voce e di aver bisogno dell’aiuto di una persona cara per riuscire a trasformarsi in qualcosa di nuovo. La particolarità è che proprio nel ritornello in cui Iako canta di cercare […] un nuovo me/ Uno che mi piace un attimo di più/ Quando non sento la mia voce puoi calmarmi solamente tu la voce non la sentiamo nitidamente neanche noi. È ovattata, ricorda il suono di quando proviamo a parlare sott’acqua e restituisce maestosamente la sensazione di soffocamento, come se il bisogno di uscire dall’abisso e tornare a respirare fosse un’urgenza incombente.

Non basterebbe lo spazio di un articolo per poter analizzare in profondità il valore artistico di MAYA, ma possiamo comunque trarne delle riflessioni. È senso comune pensare che le canzoni appartengano ai cantanti, spesso i nomi degli autori dei testi, dei musicisti, producer e tecnici discografici che vi lavorano vengono completamente eclissati dal nome della voce che danza con quelle melodie. Il disco di Mace non è il primo firmato da un producer ma, di fatto, è una novità nel panorama musicale degli ultimi anni e riaccende un dibattito sempre acceso nell’industria discografica basata sulla vendita dei copyright: di chi sono le canzoni? È giusto riconoscerne la paternità solo a chi le canta o forse dovremmo riconsiderare la questione? Una risposta certa c’è: MAYA non appartiene a Mace, né a una di quelle 28 voci. È un’opera collettiva, di nessuno. Di tutti.

Giulia Calvi

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