I fatti recenti sono stati adeguatamente analizzati in altre sedi, dalla non condannabilità di Trump allo strano attentato che ha subito durante un comizio a Butler, nello Stato della Pennsylvania, e dunque si ritiene utile soffermarsi su altro, qualcosa di più strutturale. Nella fattispecie, la funzione stessa del Presidente degli Stati Uniti, i suoi poteri, nonché il motivo per cui tale carica è un perfetto esempio della concezione decisamente peculiare del concetto di democrazia che il Paese oltreoceano propugna e che ha sempre cercato di diffondere, con esiti più o meno felici.

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I capi di Stato si possono dividere grossomodo in due categorie: di garanzia e politici. Un capo di Stato garante è eletto solitamente dal parlamento (o possiede una carica vitalizia, come nel caso di un monarca) ed è al di sopra del dibattito politico; in sostanza, si occupa di assicurarsi che la democrazia funzioni bene, senza però intervenire direttamente nel suo funzionamento, se non in caso di pericolo o di necessità. Non esprime opinioni e non incide sulle decisioni prese dagli organi elettivi. Un capo di Stato politico, invece, è direttamente coinvolto nelle attività politiche, appunto. In primis, è spesso eletto all’interno di un partito, di solito in un’elezione popolare, inoltre detiene il potere esecutivo, ossia controlla l’attività di governo, che emana da lui. Mentre in uno Stato parlamentare questa funzione è solo formale e cerimoniale, in uno Stato presidenziale o semipresidenziale (o costituzionale, se si tratta di una monarchia) si tratta di un potere sostanziale di intervento nell’agenda politica. Gli Stati Uniti, in quanto repubblica presidenziale, hanno un capo di Stato politico, che è anche capo del governo e delle forze armate, ma non è solo questo a far sollevare a parecchi analisti – e anche a parte dell’opinione pubblica – alcuni dubbi sull’effettiva separazione dei poteri all’interno del governo federale.

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Il Presidente degli Stati Uniti, infatti, può inviare messaggi di indirizzo alle camere del parlamento (detto congresso), può convocarne una o entrambe e, di recente, si è sempre più consolidata la prassi di affiancare tutta una serie di disegni di legge presidenziali al tradizionale discorso sullo Stato dell’Unione, che il Presidente pronuncia di fronte al parlamento riunito una volta l’anno. In aggiunta a ciò, il Presidente emana dei signing statements, al momento della firma, ossia delle note in cui spiega come verranno applicate le leggi. La pratica nasce con Bush Jr. ed è stata portata avanti da tutti i presidenti successivi, nonostante sia stata dichiarata incostituzionale. Per quanto riguarda il potere giudiziario, com’è noto, il Presidente nomina i giudici della Corte suprema, il massimo magistero statunitense, col solo vincolo che i nuovi giudici devono essere approvati dal senato. Se però, come spesso accade, alla camera alta c’è una maggioranza composta dal partito da cui proviene il Presidente, ecco che l’approvazione senatoria diventa un vaglio puramente formale. In aggiunta a tutto questo, il Presidente degli Stati Uniti ha il pieno controllo della politica estera: stipula i trattati di pace e fa la guerra in totale autonomia, spesso senza nemmeno aspettare l’approvazione delle camere, anche se poi tutti questi atti vanno ratificati dal congresso, in un periodo che va tra i venti e i sessanta giorni. Se però sono già entrati in operazione, è difficile che il congresso li bocci. Questa prassi nasce già con Theodore Roosevelt nel 1903 ed è stata sempre più adoperata col passare del tempo.

Il Presidente degli Stati Uniti, inoltre, non ha alcun vincolo di fiducia nei confronti del congresso e l’unico modo in cui un governo federale può cadere è con la messa in stato d’accusa del Presidente (detta, negli U.S.A., impeachment) o con le dimissioni di quest’ultimo. Un potere importantissimo che al Presidente degli Stati Uniti non è concesso, però, è quello di sciogliere le camere, che sono pertanto insolubili fino alla fine del loro mandato. Assieme alla durata limitata dell’ufficio di Presidente, cioè quattro anni, e alla possibilità di rielezione pari a una volta sola, sono questi i più grandi limiti al potere di una figura che, nella pratica dei fatti, assomiglia più a un re che al presidente di una repubblica. Un modo alquanto particolare di intendere il vertice di uno Stato antimonarchico da sempre. Il fatto, poi, che di recente la Corte suprema (a maggioranza repubblicana) abbia sostenuto che un Presidente degli Stati Uniti non sia condannabile per reati commessi mentre era in carica, rende ancora più labile il confine. La capacità d’azione del Presidente è infatti enorme e continua ad ampliarsi nel tempo, costringendo a porsi una domanda: fin dove potrà spingersi, considerando i venti che soffiano sugli Stati Uniti?
Vincenzo Ferreri Mastrocinque

🎀 Interessanti rilevazioni sul ruolo del Presidente negli USA.
Emerge la maschera di un totalitarismo davvero ben celato.
E’ ad oggi valutabile il danno prodotto da un Biden, il quale, poco lucido, (da tempo), ha mal gestito l’insorgenza bellica tra Russia e Ucraina, portando l’Europa, (sempre prona), a mantenere una guerra (gia’ da due anni), della quale ormai non si vede la fine ~ Zelensky, spalleggiato da USA e NATO, ha scaltramente tessuto la sua trama sulle spalle di un popolo ormai stremato.
Buona giornata!
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Grazie mille. È da tenere presente, però, che il ruolo avuto da Biden nella gestione del conflitto Russia vs. Ucraina (malgrado sia indiscutibile) non è il punto nodale dell’articolo, che anzi scaturisce proprio dalla discussa sentenza della Corte Suprema USA sulla non imputabilità di Donald Trump, che ai tempi del suo ufficio aveva rimpastato la corte con giudici a lui conniventi.
Buona giornata a lei
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