Questa non è una fiaba: la vita di Michaela DePrince

«Never be afraid to be a poppy in a field of daffodils» – Michaela DePrince

Esistono le fiabe?

La realtà che ci circonda, quella che quotidianamente vediamo fotografata sullo schermo di un cellulare o descritta sulla pagina di un giornale, appare spesso insensata e insanabile. Gli esempi di coraggio e solidarietà, come quello della straordinaria ballerina Michaela DePrince, passano di frequente in secondo piano rispetto al mondo di tragedie in cui sono immersi.

Michaela è nata nel gennaio del 1995 a Kenema, una città della Sierra Leone, in cui ha trascorso la sua prima infanzia, circondata dagli orrori della guerra civile, che sconvolse il Paese tra il 1991 e il 2002. La sua vita cambiò radicalmente quando una famiglia statunitense decise di adottarla, dandole così la speranza di credere in un futuro migliore e la possibilità di ricevere un’educazione adeguata. Prima che venisse a conoscenza della sua nuova famiglia, Michaela si era imbattuta casualmente in un’immagine che avrebbe influenzato tutta la sua esistenza. Una folata di vento aveva portato nel suo orfanotrofio la pagina di una rivista su cui era raffigurata una ballerina: incantata dalla felicità che scorgeva in quel volto, Michaela aveva deciso che sarebbe diventata come lei.

Non appena si fu trasferita in America, iniziò a studiare danza classica nella Rock School for Dance Education di Philadelfia. Grazie al suo carattere forte e determinato, lavorò duramente e non si lasciò mai abbattere dai pregiudizi altrui, causati dall’esiguo numero di danzatori di origine africana che all’epoca praticavano il balletto. Nel 2010, dopo aver vinto lo Youth American Grand Prix, ha ottenuto una borsa di studio per la prestigiosa Jacqueline Kennedy Onassis School di New York, dove ha potuto approfondire la sua formazione nello stile classico.

La sua carriera artistica è costellata da numerosi traguardi: la partecipazione al documentario First position, la collaborazione con diverse compagnie di balletto professionali e la pubblicazione di un libro autobiografico intitolato Taking Flight: From War Orphan to Star Ballerina. Oltre alla passione per il ballo, Michaela DePrince ha dedicato la sua vita a difendere i diritti dei bambini che vivono in zone di conflitto. Condividendo il suo passato e organizzando gala di beneficenza, non ha mai smesso di aiutare i giovani, sia da un punto di vista psicologico sia materiale.

La storia di Michaela DePrince, che il 10 settembre scorso si è spenta all’età di soli ventinove anni, è segnata dal lieto fine, apparentemente proprio come una fiaba. Eppure, la ballerina sottolineò in numerose interviste che la sua vita è stata quanto più di diverso ci sia da quella di una principessa. Prima dell’affetto familiare e del successo lavorativo che l’accompagnarono da ragazza e adulta, Michaela patì dei dolori inimmaginabili.

Forse non esistono le fiabe.

Questa storia non è un diamante puro, ma un marmo in cui serpeggia il veleno di una crudele cecità. La cecità di coloro che non videro il suo talento, ma scelsero la discriminazione; la cecità di coloro che non compresero la sua vitiligine, ma scelsero l’abbandono; la cecità di coloro che non aiutarono una bambina indifesa, ma scelsero la violenza.

In seguito alla morte dei suoi genitori biologici, Michaela venne affidata allo zio, che la abbandonò in un orfanotrofio, perché sapeva che non avrebbe potuto guadagnare vendendola come sposa, in quanto la sua vitiligine veniva considerata una maledizione. A causa della condizione della sua pelle, fu schernita e soprannominata figlia del diavolo. Le responsabili dell’orfanotrofio erano solite numerare i bambini da uno a ventisette a seconda delle loro preferenze e a lei assegnarono l’ultima posizione dell’elenco, la lasciarono svestita e malnutrita. Quando Michaela trovò la pagina della rivista con l’immagine della ballerina, la nascose nelle mutandine, l’unico indumento che possedeva.

All’età di dieci anni non ancora compiuti, fu costretta ad assistere alla brutale uccisione dell’insegnante dell’orfanotrofio, l’unica a preoccuparsi per lei. Un giorno dei ribelli notarono che l’insegnate era incinta e, dopo aver scommesso se aspettasse un maschio o una femmina, le tagliarono la pancia e uccisero la sua piccola. Michaela osservò disperata quest’atto disumano e venne ferita allo stomaco con colpi di machete perché non riusciva a smettere di urlare e piangere.

No, non esistono le fiabe.

Nemmeno il più lieto dei finali può cancellare l’inferno che una bambina innocente ha dovuto subire.

«Ricordo quando ci siamo incontrati, mi guardò fisso e disse: “Raccontare è tutto quello che bisogna fare perché se non conoscono la mia storia poi credono alle menzogne”. “Quali menzogne?”, chiedo. “Che dall’orrore non si possa mai uscire, invece si può”»

– Roberto Saviano ricordando Michaela DePrince  

Crediti: https://michaeladeprince.com/about/
Crediti: https://michaeladeprince.com/ballet/

Anna Baracco

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