Ladakh: il Kashmir dimenticato

Spesso si sente parlare di Kashmir come uno dei confini più militarizzati al mondo, e l’appellativo non potrebbe essere più veritiero. Si tratta dello storico territorio conteso tra Pakistan e India fin dal giorno della Partition nel 1947, oggi rientrato sotto il controllo del governo di New Delhi, dopo che il PM ultranazionalista e fondamentalista hindu Narendra Modi ha scelto, con un atto così storico quanto sfacciato e pericoloso, di toglierne l’autonomia (la cosiddetta abolizione dell’articolo 370 che aveva garantito indipendenza all’area per più di 70 anni).

E ora cosa ne è del Kashmir? O dovremmo dire “dei Kashmir“, perché questa porzione di terra è suddivisa in ben due entità. Infatti a rivendicarla non sono solo i due avversari storici, ma anche la superpotenza cinese. Insomma, c’è più di un Kashmir, e forse quello più dimenticato di tutti è il Ladakh.

C’erano una in volta in mezzo alle montagne…

Mappa geopolitica dell’area del Kashmir.

Ma mettiamo ordine: prima di tutto dove si trova il Ladakh? Costituisce la parte orientale della più ampia regione del Kashmir e confina con Tibet, India, Jammu-Kashmir e Xinjiang (Cina), attraverso il passo del Karakorum. Si potrà già comprendere la sua posizione strategica, storicamente crocevia di intense tratte commerciali e ora oggetto di disputa degli stati confinanti. Con l’Indipendenza indiana e la conseguente separazione tra questa e il Pakistan, il Kashmir diventa terreno primario di scontri e rivendicazioni continue, acuite dalla presenza nel territorio di abitanti sia musulmani che hindu. Questo fatto ha portato a conflitti interreligiosi, oltre che identitari1. La crisi ritorna a intensificarsi con il nuovo governo nazionalista di Modi, il quale sfrutta la questione storica come arma per il consenso e l’elettorato. Così nel 2019, dopo aver privato il Kashmir della sua indipendenza, lo suddivise in due aree amministrative (più precisamente chiamate union territory): il Jammu Kashmir e il Ladakh. Peccato che se al primo – pur avendolo privato dell’autonomia – è rimasta una qualche forma di autorappresentazione, al Ladakh non è stata data alcuna garanzia o decisione politica: né la possiblità di eleggere, né un parlamento, né un governo locale, solo la presenza di un governatore nominato da New Delhi.2

…militari e pastori

Changpa, pastori nomadi del Ladakh. (Fonte: Behzad J. Larry / behzadlarry.com)

Una mancanza che aggrava la sua già delicata natura. La popolazione dell’area si suddivide tra musulmani e buddhisti, poiché il Ladakh è storicamente e culturalmente molto legato al Tibet. Basti pensare che una delle popolazioni che lo abita sono i Changpa3, un popolo di pastori nomadi d’alta quota di origine tibetana, il quale migrava nella stagione invernale dal Ladakh al Tibet con le proprie mandrie. Dopo che il Tibet venne incorporato alla Cina e in seguito alla conseguente Guerra sino-indiana nel 1962, la rotta di transumanza fu chiusa e i Changpa furono costretti a stabilirsi verso la zona indiana. Questo però li allontanò progressivamente dai loro pascoli e dal loro stile di vita tradizionale, spingendoli fino ai giorni nostri a una sempre maggior sedentarizzazione.

A minare ancor di più le condizioni socioeconomiche di questi abitanti di confine sono le recenti vicende che hanno interessato non tanto l’India e il Pakistan, ma la prima e la Cina. In particolare è la zona dell’Aksai Chin – sotto controllo cinese, ma ora rivendicata dall’India – a essere diventata luogo di frequenti scontri tra i soldati delle due controparti, che si incolpano a vicenda di invadere il confine reciproco. In un episodio nel 2020 addirittura gli schieramenti militari si scontrarono frontalmente, con la conseguente morte di 20 soldati indiani e 4 cinesi; fatto che non accadeva da decenni. Se prima queste erano le terre dove i Changpa potevano pascolare e viaggiare liberamente, ora si vedono fermati da pattuglie, che intimano loro di ritirarsi e non tornare più ai passi montani così storicamente valicati. Non sono solo tensioni e manovre politiche a privare i Changpa dei loro pascoli, ma anche il cambiamento climatico, che ha colpito la zona in maniera irrimediabile negli ultimi anni, danneggiando un paesaggio incontaminato ricco di valli fluviali. Il turismo diventa sempre più dilagante e minaccioso, ma anche una delle poche alternative rimaste a queste persone per sostenersi.

Soldati indiani nei territori al confine tra Ladakh e Cina.
(Fonte: sputniknews.in)

Sonam Wangchuk e il grido di protesta

Sonam Wangchuk, la figura di spicco delle proteste di rivendicazione politica per il Ladakh. (Fonte: theweek.in)

Questi eventi non hanno lasciato indifferenti gli abitanti del Ladakh, infatti sono proprio i Changpa, insieme a una buona componente della popolazione locale, ad aver alzato la voce contro l’espropriazione di un diritto fondamentale: quello di autogovernarsi ed essere riconosciuti. A dispetto delle grandi diatribe degli stati, che decidono con linee di confine quale pezzo di terra appartenga loro, definendo chi sia di una nazionalità anziché di un’altra, queste persone hanno una storia, una cultura, delle tradizioni e un’identità. Identità che ha da sempre trasceso i confini geopolitici moderni: essere nomadi viaggiatori a cavallo tra mondi diversi, una ricchezza culturale che ora è minacciata. Tre sono i punti cardine delle recenti proteste: statualità, maggior rappresentanza politica e le protezioni del 6o emendamento4 della Costituzione indiana, che garantirebbe loro maggiore autonomia su terre e risorse, quindi una tutela sia politica sia ambientale.

Il volto simbolo di questo movimento è l’attivista ambientale Sonam Wangchuk, la cui voce si è alzata dapprima per la tutela dell’ambiente, ma che successivamente ha assunto – in un’ottica intersezionale – toni politici e sociali. Negli ultimi anni egli ha guidato grandi masse di protestanti in piazza, attraverso sit-in, scioperi della fame e marce per sensibilizzare l’opinione pubblica. La più recente è avvenuta a inizio di questo mese: la cosiddetta Delhi Chalo Padyatra, una marcia partita con l’enessimo sciopero della fame di Wangchuk, direttamente dalla capitale ladakhi Leh, e approdata fino al Jantar Mantar di New Delhi. Giunti di fronte al palazzo del governo il 13 ottobre, i manifestanti sono stati trannenuti dalla polizia e obbligati a spostarsi altrove, portando a ulteriori tensioni nell’opinione pubblica.

Mentre proteste e pattugliamenti continuano senza apparente soluzione, i ladakhi guardano all’orizzonte verso le loro montagne, sognando che il giorno in cui quelle barriere invisibili non esisteranno più giunga presto e sperando che un pastore indiano possa godere di nuovo dei biscotti cinesi che trovava oltre confine.

Rachele Gatto

Fonti & note

  1. Tra gli episodi più tristemente famosi e controversi vi è l’esodo della minoranza hindu Pandit avvenuto a inizio degli anni ’90, che costrinse molti indiani hindu residenti in Kashmir a fuggire per le persecuzioni da parte di fondamentalisti musulmani, i quali rivendicavano l’indipendeza della zona a favore del Pakistan. Il tema è trattato in uno dei più recenti e scandalosi successi di Bollywood, il film The Kashmir Files (2022). ↩︎
  2. China-files.com ↩︎
  3. Interessante notare come i Changpa dal ’91 siano classificati nelle Scheduled Tribes della Costituzione indiana, ovvero la lista di etnie e minoranze alle quali, proprio in virtù della loro peculiare condizione socio-culturale e politica, è riconosciuta una certa tutela, e un azione politica di discriminazione positiva che riserva loro delle quote per l’accesso al lavoro e all’istruzione (Wikipedia). Tale politica è stata però spesso messa in discussione nella sua efficacia, che non farebbe altro che rendere questi gruppi “diversi”, senza risolvere i veri problemi di svantaggio che devono affrontare. ↩︎
  4. L’emendamento adottato nell’area tribale dell’India Settentrionale, come l’Assam (india.mongabay.com) ↩︎

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