Settimane in cui accadono decenni: la caduta degli Assad

A fare da titolo è una famosa quanto necessaria citazione (probabilmente errata, a onor del vero) dal Compito principale dei nostri giorni, pubblicato da Lenin nel 1918: «Ci sono decenni in cui non accade nulla e settimane in cui accadono decenni». La caduta di Bashar al-Assad, infatti, provoca proprio questa esatta sensazione. Dopo mezzo decennio in cui la situazione in Siria sembrava essersi stabilizzata, con la sconfitta pressoché totale dell’ISIS nella battaglia di Baghuz, il 23 marzo 2019, in poco più di tre giorni la dittatura che aveva dominato il paese mediorientale per 54 anni è finita con la fuga del presidente da Damasco verso la Russia nella notte. Che ne sarà adesso della Siria e che considerazioni politiche sono state prese, per permettere una capitolazione tanto rapida e brillante? Ma soprattutto, chi sono le parti in gioco?

Un ritratto di Bashar al-Assad distrutto dalle forze antigovernative nella città di Hama. Cortesia di RNZ.
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Come per molti regimi governati dal Ba’th (socialismo panarabista di stampo secolarista tipico dell’area), anche la Siria era retta da una minoranza religiosa, quella degli Alauiti, setta misterica dell’islam sciita. L’appartenenza alla stessa branca religiosa dell’Iran facilitava gli scambi tra i due goveni, che infatti sono stati inquadrati fin dalla loro nascita in orbita prima sovietica e ora russa. Più difficili i rapporti con l’Iraq di Saddam Hussein, ma la sua scomparsa dallo scacchiere, ormai vent’anni fa, sembrava aver assicurato una certa stabilità interna. Le primavere arabe, tuttavia, avevano dato un pesante scossone a tutta l’area del Vicino e Medio Oriente; fu proprio allora che scoppiò la guerra civile siriana, in cui combatterono per il controllo del Paese l’ISIS, i curdi anarcocomunisti del Rojava, il Syrian National Army (finanziato dagli Stati Uniti) e, a nord-ovest, il Governo Provvisorio Siriano, espressione di gruppi jihadisti e fondamentalisti, il principale dei quali sembra ora essere l’HTS (esercito del Governo di salvezza siriano), alleato della Turchia e costola di Al-Qaida. Proprio quest’ultimo nucleo, infatti, ha sfondato tre giorni fa i confini ed è arrivato alle sette di domenica 8 dicembre 2024 a Damasco. Un’avanzata rapida e inarrestabile, talmente brillante ed efficace da rendere evidente non solo la preparazione strategica, logistica e tecnica di questo gruppo – che infatti è inquadrato in strutture militari, ha mezzi, uniformi ed equipaggiamento – ma anche lo studio meticoloso dell’operazione, in cui nulla è stato lasciato al caso.

Situazione all’8 dicembre 2024. In bianco i territori controllati dall’HTS, in giallo il Rojava, in verde scuro il Syrian National Army, a righe la zona in cui opera ancora l’ISIS, in rosso l’ex governo di Assad, in verde chiaro il Governo Provvisorio Siriano. Cortesia di Wikipedia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana#/media/File:Syrian_Civil_War_map.svg

Vladimir Putin abbandona un suo alleato nell’area e i motivi sono molteplici. Da un lato, il bisogno di concentrare le forze in Ucraina, in vista delle ultime fasi della guerra, rende impossibile aiutare il regime di Assad, dall’altro c’è stata sicuramente una valutazione di costi e benefici. La Siria si era ritrovata sempre più isolata, sempre più povera e non è da escludere che la Russia abbia ritenuto inutile sostenere un governo ormai svuotato di ogni reale credibilità. Certo, lasciare che la Siria passi ai sunniti filoturchi darà sicuramente non poche noie all’Iran, ma anche questo regime sembra in crisi e non è escluso che il Cremlino, appunto, stia decidendo di fare un po’ di spending review verso i propri alleati. D’altro canto, il crollo di un governo dimostratosi così collaborativo con Israele come quello degli Assad potrebbe alterare in maniera determinante gli equilibri nel conflitto tra lo Stato ebraico e le due organizzazioni di Hamas ed Hezbollah. Il neoeletto presidente USA Donald Trump si è chiamato fuori dalla controversia, accentuando ancor di più la ormai conclamata fragilità statunitense nelle dinamiche internazionali. Non basta il supporto di un paese NATO a garantire stabilità, se quel paese è la Turchia, che notoriamente ha una politica internazionale assai ambigua, oltre a essere l’unico stato in cui governa un partito solidamente alleato con l’associazione terroristica dei Fratelli Musulmani. L’espansione dell’area di influenza di Ankara, inoltre, potrebbe essere un tentativo di mettere i bastoni tra le ruote ai governi sauditi, ogni giorno più ricchi e influenti. Il Rojava, infine, si è notevolmente espanso negli ultimi giorni, grazie alle concessioni disperate di Damasco nel tentativo di replicare ciò che era avvenuto con l’ISIS; risulta difficile ipotizzare che i guerriglieri comunisti restituiscano i territori appena guadagnati, soprattutto al nemico di sempre, la Turchia.

Al-Jawlani, capo dell’esercito del Governo di salvezza siriano (HTS). Cortesia di RSI.
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In conclusione, il crollo di un governo storico come quello della famiglia Assad appare come l’aprirsi di una nuova stagione di instabilità e di conflitto, i cui esiti sono assolutamente incerti e ben lungi dal concretizzarsi, ed è un evento che si inserisce nell’alveo degli enormi cambiamenti dello scenario globale cui stiamo assistendo ormai da quasi tre anni. Quel che è sicuro è che queste dinamiche geopolitiche internazionali stanno cambiando, col mondo disegnato dopo la seconda guerra mondiale che si sgretola sempre più, lasciando spazio a nuovi attori, le cui intenzioni sono tutte da scoprire.

Vincenzo Ferreri Mastrocinque

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  1. Avatar di Artamia Artamia ha detto:

    NOT WITHOUT THE HELP FROM THE “BIG BROTHER” CALLED C.I.A.

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