Content warning: stupro e violenza sessuale
“Signor Pelicot, lei è ritenuto colpevole per stupro aggravato sulla persona di Gisèle Pelicot.”
Roger Arata, Presidente della Corte penale di Vaucluse
Nella mattinata del 19 dicembre presso il tribunale di Avignone è stata emessa la sentenza nei confronti di Dominique Pelicot, ex marito di Gisèle Pelicot, principale imputato nel processo per gli stupri di Mazan; è stato condannato a 20 anni di reclusione (la pena massima prevista) per stupro aggravato e altri reati, mentre sono state comminate condanne minori, dai 3 ai 15 anni, ad altri 50 co-imputati dichiarati colpevoli.

Il caso mediatico che ha sconvolto l’Europa
Tra il 2011 e il 2020, nella città di Mazan in Provenza, Dominique Pelicot ha somministrato all’allora moglie Dominique forti sonniferi e pillole per l’ansia per poi farla violentare da decine di uomini nel corso degli anni mente era in stato di incoscienza.
Un elemento particolarmente scioccante di questo caso è anche l’estrema varietà di persone che hanno partecipato alle violenze: uomini di ogni età, con lavori diversi, di diversa estrazione sociale, livello di educazione, lavoro e situazione familiare.
Dal pregiudicato, all’infermiere al padre di famiglia, sembra che chiunque sia potenzialmente capace di compiere un simile gesto.
Alcuni degli imputati hanno ammesso in tribunale la propria colpevolezza, altri hanno affermato di non essere a conoscenza del fatto che Gisèle “non fosse consenziente“: affermazione alquanto discutibile quando parliamo di una donna priva di sensi.
Dominique Pelicot si è dichiarato colpevole confessando come durante quei dieci anni abbia intrattenuto conversazioni con decine di uomini all’interno di una chat denominata “lei non lo sa” su un sito (ad oggi chiuso) notoriamente utilizzato per parlare di stupro e fantasie sessuali violente e su altre piattaforme. In ognuna delle quali utilizzava uno pseudonimo e organizzava e programmava meticolosamente le violenze.
Il coraggio di Gisèle
Né Gisèle né la i familiari hanno sospettato mai nulla, nonostante gli anni passati sotto effetto di droghe abbiano influito negativamente sulla salute della donna, che diverse volte si è recata dal medico o in ospedale alla ricerca di risposte.
La svolta è avvenuta quando l’imputato nel settembre del 2020 è stato scoperto a registrare video sotto le gonne di alcune donne. Dopo l’arresto di Pelicot, ecco le indagini delle forze dell’ordine francesi, che gli hanno anche confiscato tutti i suoi dispositivi: computer e telefono hanno portato a galla tutto.
Una volta scoperta la verità, Gisèle ha preso una decisione. Questa avrebbe forgiato completamente la percezione che i media e l’opinione pubblica avrebbero avuto di lei. Ha scelto di rinunciare completamente al suo anonimato, si è fatta intervistare, si è mostrata in tribunale più determinata e sicura di quanto, forse, non si sentisse.
E ha funzionato.
Gisèle è diventata il simbolo della lotta contro la cultura dello stupro, punto di riferimento per tutte quelle persone che hanno subito abusi e sono stati frenati dalla vergogna.
Le sue parole sono forti e chiare:
“La vergogna deve cambiare lato”
Gisèle Pelicot
Questo processo è stato una vittoria per tutte le vittime di violenza, ma la lotta contro la cultura dello stupro è un percorso ancora molto lungo e complesso. C’è tanto lavoro ancora da fare, dai pregiudizi legati alle vittime di stupro, alla cultura della colpevolizzazione delle vittime stesse, alle riforme legislative. Gisèle non doveva niente a nessuno, eppure, con le sue azioni e le sue parole, ha contribuito in maniera inestimabile alla lotta per i diritti di tutte le persone vittime di violenza sessuale.
E non ci resta che dirle grazie.
Alice Musto
Fonte immagine di copertina: https://images.app.goo.gl/v5YiMKfe8FvsDmVj6
