CREATIVA-MENTE: la creatività non è per pochi

“Non so cosa scrivere” è il pensiero che mi ha tediata nelle ultime settimane di ricerca per questo nuovo articolo. Non che fossi priva di spunti, anzi: stanziamenti per centri ospedalieri pro-vita, movimenti femministi che, dalle vicende iraniane, si spandono solidalmente in tutto il mondo e la composizione dell’entrante Governo italiano sono solo alcune delle notizie che pervengono negli ultimi giorni. Sono certamente argomenti interessanti ma talora così spaventosi ed importanti da trattare che non mi sentivo ispirata ad imprimerli sulla superficie di un nascituro prodotto di scrittura. Così, dalla sensazione di non essere sufficientemente creativa, è nato l’articolo che state leggendo e che riguarda quello che pensavo mi mancasse: la CREATIVITA’!

Non siamo tutti Einstein

William James, nel 1890, pubblicò Principi di Psicologia (The Principles of Psychology), un’opera visionaria al cui interno, oltre al concetto di “flusso di pensiero”, fu attribuita una prima definizione psicologicamente attestata al concetto di “creatività”. Quest’ultima fu concepita come una transizione da un’idea a un’altra, una inedita combinazione di elementi, una acuta capacità associativa e analogica e da allora tale accezione non è più stata superata. Il concetto “combinatorio” cui fece riferimento James viene, infatti, riconsiderato nella più recente delineazione del termine nel Nuovo Dizionario di Psicologia del Professor Umberto Galimberti (2018) che evidenzia l’atto creativo come un carattere saliente del comportamento umano, particolarmente evidente in alcuni individui capaci di riconoscere, tra pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e a cambiamenti.

Nello scenario ordinario e collettivo, sono considerate creative le personalità più estrose ed artistiche, i massimi esponenti della scienza o ancora le grandi menti letterarie: J.K. Rowling, David Bowie e Leonardo Da Vinci incarnano perfettamente l’ideal-tipo di “persona creativa”. A lungo si è pensato che la creatività fosse una dote, di cui solo alcuni eccelsi rappresentanti dell’umanità fossero dotati. Non a caso, in seguito al decesso del folle ma geniale Albert Einstein, il cadavere venne cremato, secondo le volontà dell’uomo, ma ne fu conservato il cervello affinché esso potesse essere analizzato. I risultati delle numerose dissezioni cerebrali furono vani rispetto all’intento iniziale di individuare particolari conformazioni che comprovassero la natura “fuoriclasse” dello scienziato: il cervello di Einstein non presentava alcuna anomalia. Si trattò di una constatazione che aprì le porte di un mondo nuovo in cui chiunque, potenzialmente e in chiave alquanto positiva, potrebbe essere Einstein e dove, per questo motivo, la creatività non sarebbe più una peculiarità di alcuni, ma apparterrebbe a tutti.

Creatività, dove sei?!

Le neuroscienze, a riprova del caso riportato precedentemente, hanno a lungo analizzato l’anatomia cerebrale nell’ottica di selezionare le aree imputate all’atto creativo. Così operando, esse non solo hanno valutato riduttivo concepire la netta separazione tra emisfero sinistro come esclusiva area logica e quello destro come sito di origine del funzionamento più “creativo”, ma hanno altrettanto decretato che non esiste una sola porzione cerebrale coinvolta. In un momento creativamente produttivo, il cervello di un essere umano si attiva in plurime parti adibite alle “funzioni ordinarie” a cui si sommano numerose componenti emotive. Ecco perché l’ansia o la rabbia compromettono le nostre capacità a risolvere problemi o a produrre qualcosa di nuovo, mentre gioia e serenità si rivelano favorevoli in tali situazioni.

A seconda del nostro umore e dell’obiettivo che pragmaticamente ci poniamo, il cervello si attiva mettendo in moto processi creativi che implicano differenti connessioni sinaptiche, ma che seguono il medesimo iter a tappe. Le fasi che compongono la strada per la creatività sono generalmente considerate quattro (anche se alcuni psicologi ne contano una in più o una in meno): la fase di ricerca o preparativa, la fase di incubazione, la fase di illuminazione e la fase di valutazione. Le prime due “fermate” innescano la rete di default, grazie alla quale molteplici idee fluiscono nei canali del pensiero, per poi accumularsi ed essere associate a random ad altre idee. Nelle ultime due, invece, è la rete del controllo esecutivo a prevalere, con lo scopo di selezionare le ispirazioni più avvincenti e funzionanti e dare origine al prodotto che si desiderava partorire, risolvere o affrontare.

La creatività, dunque, non è un elemento che si possiede o meno, ma è parte di un processo che ora la mette in luce ora la adombra, secondo giochi di chiaro-scuro divertenti, ma subdoli.

Creativity gym

Se, tuttavia, ognuno di noi è intrinsecamente dotato di creatività, la cruda realtà dimostra anche che essa, per sbocciare, deve essere coltivata. Esistono molti modi per allenare il muscolo creativo, ma un dato è certo: per farlo, non bisogna volerlo fare! Questo perché esso emerge letteralmente “lasciando correre” i flussi di pensiero e conferendo spazi di libera espressione alla mente parlante che, soprattutto nei momenti di ozio, risulta essere produttiva. La cultura occidentale vede gli attimi vacui come inutili e tende a colmarli di “compiti da svolgere”, quando essi possono rivelarsi nettamente più utili così: vacui, per come sono nati.

Ulteriori ricerche hanno ancora rivelato che l’apertura alla curiosità, alla sfida ed all’esplorazione di nuove culture, l’apprendimento di diverse lingue e pratiche sportive, la tendenza a sorprendere e a sorprendersi, nonché il relax aiutino le persone ad essere più creative.

Come fare, dunque, quando non si riesce ad affrontare creativamente un compito o una sfida assegnataci? Semplicemente facendo altro e, se il tempo stringe, tenendo a mente che una scintilla di creatività c’è sempre in noi, quindi “Just let it flow”.

Alessia Congiu

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