Blonde: la recensione

Blonde è una delle recenti produzioni Netflix ad aver avuto più hype nell’ultimo periodo: un film biografico (o almeno così si propone) sulla Diva per eccellenza del secolo scorso, Marilyn Monroe. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia in cui è stato omaggiato di una standing ovation di quattordici minuti, il film di Andrew Dominik è stato pubblicato il 16 settembre 2022 direttamente sulla piattaforma streaming. Sebbene il successo in termini numerici sia stato sostanzioso, l’opinione pubblica e la critica cinematografica si sono divise sulla qualità dei contenuti: per alcuni, Blonde è un’opera interessante e meritevole, per altri è un flop totale.

Sinossi

La Marylin che ci viene presentata è un personaggio creato dall’autrice Joyce Carol Oates nell’omonimo romanzo del 1999. Importantissimo da sottolineare il genere dell’opera soggetto del film: si tratta infatti di una biografia romanzata, in cui la storia della protagonista non è autentica, bensì condita di aneddoti non accaduti nella vita reale. Quello di Dominik è un personaggio doppio in cui combattono due anime contrastanti: da una parte, la sofferente Norma Jeane, lettrice di Dostoevskij, vittima di violenza nel corso della sua infanzia e alla continua ricerca di un padre che non conoscerà mai; dall’altra, la diva più amata dall’uomo americano, sex symbol senza contenuti che vadano oltre la sua bellezza. Marilyn-Norma è una mina vagante, una martire in balia della peggior mentalità patriarcale, della violenza inflitta da uomini smaniosi di potere e dalla depressione latente, via via sempre più presente nella sua vita e nel film.

Aspetti positivi e negativi

Dominik gioca moltissimo con la sensazione del perturbante. Il film, nel suo insieme, disturba sin dal principio attraverso scene, temi e scelte estetiche inquietanti. Abbiamo quadri che improvvisamente si animano e parlano, continui passaggi dal bianco e nero al colore e cambi di formato che disturbano tanto quanto ciò che viene raccontato a livello narrativo. Sembra che il regista abbia cercato di fare un uso espressivo della macchina da presa, forse non troppo comprensibile per lo spettatore odierno, ma certamente d’impatto. Prendiamo d’esempio la scena in cui Monroe giace con Cass Chaplin Jr. e Eddy Robinson Jr., in cui il letto si trasforma in una cascata che allude a un chiaro messaggio subliminale; oppure, al rapporto orale con il presidente Kennedy, in cui la scena si sposta sullo schermo di una sala cinematografica e la cinepresa compie movimenti nauseanti. O ancora, il finale in cui improvvisamente Marilyn sembra uscire dal corpo senza vita di Norma Jeane, ammiccare allo spettatore e tornare nelle sue membra, raggiungendo finalmente la tanto desiderata pace eterna, rappresentata dal bianco dell’ultima inquadratura. L’intento è chiaramente scatenare in chi guarda un forte disturbo per entrare in contatto con le emozioni provate dalla protagonista.

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D’altro canto, la critica sembra non aver apprezzato queste scelte. Innanzitutto, è stata giudicata negativamente la scelta di trarre una biografia su un’icona pop di tale calibro da un romanzo che di biografico non ha molto. Il film sembra voler peggiorare la situazione di una vita già tragica, di voler infangare il personaggio, aumentando ancora di più la sessualizzazione sul suo mito. Se potevano soffermarsi meglio su Norma Jeane hanno scelto di portare all’estremo la narrazione sulla sex symbol. Anche l’estetica perturbante ed espressiva non è stata compresa: Paolo Mereghetti, uno dei più illustri critici cinematografici italiani, scrive sul «Corriere della Sera» “A cominciare dall’utilizzo del bianco e nero o del colore, che si alternano secondo una logica di cui sfugge il senso.” e definisce il film kitsch.

Non mancano comunque alcuni aspetti positivi, che siano essi ad aver scatenato l’ovazione a Venezia o la memoria di una grandissima attrice non ci è dato saperlo. Innanzitutto, la performance di Ana de Armas è stata giudicata in maniera molto positiva. L’attrice cubana entra perfettamente nei panni della diva americana, ci ammalia e scombussola nel giro di pochi secondi, diventando anch’essa parte del meccanismo perturbante instaurato dalla regia. È credibilissima nonostante in apparenza sembrino molto distanti. Scrive la critica televisiva Marina Pierri su Instagram riferendosi ad Ana de Armas: “pur non somigliando particolarmente all’attrice che conosciamo, le somiglia più di chiunque ne abbia indossato la pelle”. Lodati sono stati anche gli effetti speciali, che hanno permesso di trasportare de Armas all’interno dei più importanti classici hollywoodiani del secolo scorso e allo spettatore di avere l’impressione di avere davanti a sé la Marilyn Monroe originale. Quando la diva canta I Wanna be Loved by You la differenza tra l’autentica Monroe e de Armas è impercettibile.

In conclusione…

Andrew Dominik e J.C. Oates ci mettono davanti a un personaggio inquietante, parte di narrazioni, a loro volta, inquietanti. L’angoscia percorre tutto il film e, se l’intento è davvero quello di pugnalare lo stomaco dello spettatore, l’opera è riuscita. Purtroppo, ne risente la veracità. La storia non è autentica, il personaggio ancora meno e non rende nessuna giustizia alla grande Marilyn Monroe, che purtroppo avrebbe meritato molto di più di ciò che le hanno concesso.

Giulia Calvi

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