L’Ocean Viking naviga lenta verso Ancona, attraversando un Mare Adriatico in tempesta. La nave, costruita per il Mare del Nord e non alla sua prima burrasca, naviga tra le onde alte che la circondano, così come prosegue sicura la Geo Barents a qualche decina di km più indietro. Non si può dire lo stesso dei naufraghi a bordo delle due imbarcazioni, 110 in tutto, partiti dalla Libia su barchini di fortuna, inconsapevoli di essersi ritrovati sul campo di battaglia di una guerra di logoramento intrapresa dal Governo italiano contro le ONG.
L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha infatti da qualche settimana cambiato strategia per ostacolare i soccorsi nel Mediterraneo: non più come a ottobre la chiusura di ogni canale di comunicazione, il rifiuto di assegnare un porto sicuro, gli “sbarchi selettivi”, le litigate con gli alleati europei, e quella che per diversi giuristi è stata una violazione del diritto internazionale, metodi rozzi, non sostenibili nel lungo termine, ma la più sottile assegnazione di place of safety dove attraccare sempre più lontani.
Ancona, appunto, per le navi di SOS Mediterranee e Medici senza Frontiere – alle quali è stata negata anche la possibilità di trasferire tutti i passeggeri su un mezzo solo per non dover affrontare entrambe una risalita dell’Italia della durata di 4 giorni e dal costo di circa 10 tonnellate di carburante al giorno. Poco prima di Natale la Toscana per Life Support di Emergency, mandata fino a Livorno, Ravenna alla fine dell’anno sempre per la Ocean Viking.
Porti distanti, nel centro-Nord (la scrittrice Caterina Bonvicini su <<La Stampa>> ha ironizzato: “perché non Trieste?”), che ufficialmente vengono assegnati per ridurre lo stress su quelli meridionali (non, però, alle navi della guardia costiera, le quali in caso di soccorsi analoghi, come quelli che hanno interessato 2.000 migranti solo nei primi 9 giorni del 2023, sono state autorizzate a fermarsi in Sicilia e Calabria). In realtà ciò fa aumentare enormemente le spese delle ONG, costringendole a percorrere inutilmente centinaia di km, e le obbliga a lasciare sguarnito per più giorni il tratto di mare dove avvengono i salvataggi, come ha sottolineato il portavoce di SOS Mediterranee Francesco Creazzo.
Questa strategia, volta a incrementare i consumi di carburante e quindi i fondi necessari per ogni missione (provenienti per la maggior parte da donazioni di privati), è accompagnata da un intervento legislativo che delinea un nuovo codice di condotta per le organizzazioni umanitarie. Il 28 dicembre, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge presentato da Matteo Piantedosi, Ministro dell’interno con un passato da autore dei decreti sicurezza di Matteo Salvini ai tempi del Conte I, che restringe di molto il campo di libertà delle ONG.
La norma, che la premier Giorgia Meloni ha difeso in un video pubblicato sui social affermando sia stata pensata “per rispettare il diritto internazionale e i migranti”, impone alle navi di chiedere un porto sicuro immediatamente dopo il primo intervento e di recarvisi “senza ritardo”, vietando cioè sia di attendere di aver espletato più salvataggi prima di rivolgersi all’Italia per chiedere un place of safety sia di rispondere ad ulteriori richieste di aiuto dopo averlo ottenuto. Rende, inoltre, necessaria un’autorizzazione per effettuare il trasferimento di persone da una nave a un’altra (autorizzazione non concessa, appunto, a Ocean Viking e Geo Barents) e prevede dure sanzioni pecuniarie in caso di inadempienza, che si trasformano nel sequestro della nave nel caso in cui l’infrazione sia ripetuta.
L’obbligo di fare rientro dopo il primo soccorso e l’assegnazione di un porto a diverse giornate di navigazione non solo rendono salvare vite nel Mediterraneo molto più costoso (secondo una stima del <<Post>> una missione può arrivare a costare 80.000 euro in più), ma, come hanno fatto notare le ONG coinvolte, costringono la società civile a lasciare non monitorato per lunghi periodi quel tratto di mare dove solo nel 2022 sono morte circa 1300 persone, secondo dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni.
Questo, affiancato al fatto che il pull factor esercitato dalle navi umanitarie sia una bufala (come dimostrano da anni diversi studi scientifici), e quindi alla realtà che le partenze di migranti dalla Libia su imbarcazioni di fortuna non si interromperanno nei giorni in cui non sarà presente nessuno in grado di prestare loro soccorso, significa, secondo un documento firmato da diverse organizzazioni che si occupano di Search and Rescue, condannare un numero imprecisato di donne uomini e bambini a morire nelle acque che separano l’Africa dall’Europa.
Virginia Platini
