Il fu Mattia Pascal: quanto costa l’opportunità di rinascere?

Oggi come non mai la vita è definibile, nel modo più semplice, quanto a una frenesia che travolge il singolo fino ad intontirlo: volenti o nolenti questa è la risposta alla noia e, per i più, è quasi l’unica certezza utile a fornire una via di fuga da una gogna alla quale si cerca di non dar del tu scappandone il più lontano possibile. Ed effettivamente risulta piuttosto realistico il fatto che, per quanto ci si possa lamentare, si cerchi quanto più possibile una vita piena in grado di riempire ogni singolo momento della propria giornata. È così che una volta adulti si iniziano a sentir propri tutti gli stereotipi della vita più comune: arrivare ad avere un buon lavoro e una buona famiglia su tutti. Ma questo basta davvero per sentirsi a posto con sé stessi? A dar la possibilità di dire che la propria esistenza non sia andata sprecata? La risposta, come spesso accade, è soggettiva e merita per ogni singolo un trattamento e un ascolto adeguato al caso. Molti, dunque, si adattano e vicendevolmente, alla lunga, scelgono di arrendersi; altri, invece, probabilmente non riescono ad accettare un qualcosa di simile e magari corrono il rischio di impazzire per via di questa incapacità. Perché la propria vita ha un peso all’interno della società e questa troppe volte non dà la possibilità di esprimersi secondo i propri canoni.

D’altro canto, è la letteratura a venirci incontro per affrontare quest’argomento: il romanzo, o meglio, il capolavoro pirandelliano intitolato Il fu Mattia Pascal casca a pennello per farsi un’idea. In questo libro Mattia Pascal, orfano di un ricco commerciante, dopo aver condotto una vita dissoluta, derubato da un amministratore disonesto, finisce in miseria; messosi nei guai, è costretto a sposare una ragazza bella ma insipida, con una madre odiosa e, per avere un piccolo stipendio, si adatta a fare il bibliotecario. Nascono due gemelle, che però muoiono presto; muore anche la madre. In un momento di insofferenza, annoiato da moglie e suocera, oberato di debiti, scappa a Montecarlo, dove vince una cospicua somma alla roulette. Sulla via del ritorno scopre di essere stato riconosciuto in un cadavere, ritrovato vicino a casa sua. Decide di cambiare identità e di cambiare vita; si inventa un nome, Adriano Meis, viaggia, si stabilisce a Roma, pensionante di una famiglia scombinata, si innamora di una ragazza. Ma quando comincia a immaginare una nuova vita con lei, capisce che la sua condizione di morto vivente non gli permette di sposarsi né di avere un’occupazione legittima; finge un suicidio e decide di tornare al paese di origine e alla sua famiglia. La moglie nel frattempo si è risposata, ha avuto un figlio, e il fu Mattia Pascal torna ad adattarsi alla vuota vita provinciale, a passare le giornate nella biblioteca in cui aveva lavorato, ad abitare da una zia, e a portare ogni tanto un mazzo di fiori sulla propria tomba.

Ieri come oggi possiamo dunque osservare come la quotidianità uccida: scappare dalla propria identità parrebbe delle volte la soluzione più semplice ma, in casi come questo, si è rivelato in realtà come una sorta di condanna autoinflittasi dal protagonista. La società nel tempo ha l’obbligo morale di evolversi e la persona dovrebbe fare lo stesso: importante resta il solo fatto che la prima sappia dare importanza al secondo il quale non deve adeguarsi obbligatoriamente poiché l’obbiettivo deve essere sempre quello di vivere e non di sopravvivere. La risposta è quella di accettare e accettarsi, una cosa non semplice ma al tempo stesso l’unica vera possibilità di trovare il proprio spazio nel mondo. Ci vorrà sempre del tempo e mai si avrà la certezza che tutti vi riusciranno ma, per coloro che sapranno arrivare a tanto, solo così non sarà necessario mettere un “fu” davanti al proprio nome. E, come recitano le prime parole del libro, non ci si deve mai dimenticare chi si è, considerando ciò come un gran punto di partenza:

 « […]

– Io mi chiamo Mattia Pascal.

-Grazie, caro. Questo lo so.

-E ti par poco?

Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non saper neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:

-Io mi chiamo Mattia Pascal.»

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal

Andrea Bordonaro

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