“La legge e la signora”: Wilkie Collins e il giallo vittoriano a duecento anni dalla nascita dello scrittore

L’8 gennaio 1824 nasceva Wilkie Collins, l’autore de La donna in bianco e La Pietra di Luna. Tra questi libri ce n’è uno che spicca per rilievo e interesse: La legge e la signora.

Wilkie Collins fu uno scrittore inglese, nato e cresciuto nel lungo e prospero periodo vittoriano; grande amico di Charles Dickens, si dedicò alla scrittura mentre faceva l’avvocato, scoprendo una passione che lo portò a scrivere i romanzi che oggi conosciamo. Sicuramente influenzato dall’amico, con cui c’era una reciproca e profonda stima, i suoi soggetti avevano sempre degli elementi soprannaturali, senza contare una costante ambientazione gotica e misteriosa. Il lavoro di Collins, come quello dello scrittore vittoriano per eccellenza, prevedeva ricerca e selezione perché i suoi erano dei veri e propri casi, in cui omicidi, suicidi e udienze facevano da padrone. Da molti viene considerato il padre della detective fiction, che all’epoca spopolò nei racconti dello scrittore d’oltreoceano Edgar Allan Poe con la pubblicazione nel 1841 dei Delitti della Rue Morgue. Qualcuno potrebbe aver pensato a Conan Doyle con i racconti di Sherlock Holmes, eppure sono soltanto del 1887, quasi trent’anni dopo la pubblicazione de La donna in bianco.

Le atmosfere e le ambientazioni sono quasi tutte vittoriane, ma con quegli elementi surreali tipici della scrittura del periodo: vi basti pensare ad A Christmas Carol di Dickens, dove i tre fantasmi del passato, del presente e del futuro fanno visita all’avaro e spietato signor Scrooge, in un insieme di sequenze terribili e mozzafiato. Collins calca ancora di più la mano e declina questo aspetto sui personaggi stessi, caratterizzandoli in modo univoco, senza però dare troppe spiegazioni. Questo modo di creare i personaggi, a cui si aggiungono trame complicate e tecniche narrative molto ingegnose, hanno permesso a Collins di affiancare il suo nome a quello di Dickens: oltre a collaborare insieme alla rivista fondata da quest’ultimo, Household Words, scrissero a quattro mani Senza Uscita, un libro in cui si affronta uno dei grandi problemi di un’epoca così prospera e allo stesso tempo ipocrita: l’abbandono dei bambini, la loro “esposizione” in piazza senza un nome e la successiva scelta di una parola che allo stesso tempo “conta e non conta assai poco” . I toni del libro spaziano dal comico al drammatico, però il perno centrale rimane il degrado in cui molti vittoriani vivevano.

La legge e la signora è forse il libro che meglio rappresenta tutti gli elementi analizzati finora: è una detective story, c’è un processo ed è incorreggibilmente vittoriano. Manca qualcosa? Sì, c’è l’elemento che lo rende ancora più interessante: è il primo libro di “true crime” in cui a condurre le indagini è una donna, Valeria Brinton. Bisogna mettere in chiaro fin da subito che non si tratta di una storia di emancipazione femminile, né tantomeno di apologetica delle donne. Il libro risente dei canoni di un’epoca in cui la misoginia era all’ordine del giorno. Qui non si può dire che ci sia questo elemento da parte dell’autore, ma di certo gli intenti erano altri e Valeria stessa risente degli stereotipi del caso. Rimane, insomma, un libro su una donna scritto da un uomo. Tuttavia, bisogna riconoscergli la volontà di non rendere questi elementi il cardine del libro: Valeria, infatti, viene comunque caratterizzata come intelligente, perspicace e caparbia. È lei che conduce le indagini ed è lei che le risolve senza troppi aiuti esterni, mentre i personaggi maschili, a parte quelli surreali, sono meno tenaci e volenterosi di lei.

In molte descrizioni del libro si legge che questo personaggio è un ritratto di donna che non esita a opporsi ai modelli e alle regole della società vittoriana1. Devo dire di essere in parte in disaccordo: certo, Valeria smuove mari e monti per dimostrare l’innocenza del marito, ma spesso parla a se stessa mettendo in primo piano l’essere donna, come se ci si aspettasse che davanti a certi scenari svenga o che non riesca a comprendere del tutto certi tecnicismi del mestiere. Qui, dunque, emerge quell’aspetto di cui parlavo prima: un personaggio sì diverso e in qualche modo avanti per l’epoca, ma che ricade ugualmente negli stereotipi di genere.

Il libro si apre con il matrimonio tra Valeria Brinton ed Eustace Woodville, un matrimonio che sembra essere stato fatto per amore e non per costrizione. A raccontare gli eventi è Valeria e non la voce esterna di Collins, il che rende ancora più evidente sia la volontà di creare una storia diversa (con, appunto, una protagonista femminile che si mette nei panni di un detective e, dopo mille peripezie, arriva alla verità e scagiona chi è stato accusato ingiustamente), sia la necessaria – per l’epoca – caratterizzazione stereotipica delle donne, che si preoccupano del loro aspetto, perché devono sottostare a dei canoni molto rigidi, e che giustificano alcune azioni per il fatto stesso di essere donne. La trama ben presto si infittisce perché Valeria scopre che il marito ha subito un processo per omicidio, ma che è stato scagionato per mancanza di prove. E non solo: il suo vero cognome è MacAllan e non Woodville. Quando c’è questo tipo di rivelazione si pensa che il passo successivo sarà l’insabbiamento o l’omicidio da parte del marito, perché si è scoperta una verità nascosta, cautamente tenuta nell’oscurità. Qui, invece, Collins ci sorprende ed Eustace, pur di non guardare gli occhi delusi della moglie, se ne va e lei si ritrova da sola. Eustace non riesce a sopportare quella macchia di disonore, perché essere assolti per “mancanza di prove” significa – per lui – non aver accertato la piena innocenza. È come una costante spada di Damocle che pende sulla sua testa e gli impedisce di essere sincero con la sua amata e buttarsi alle spalle la faccenda. Eustace era stato processato per l’omicidio della prima moglie, Sarah MacAllan, morta in circostanze sospette. Valeria riesce a ottenere le carte del processo e le legge una per una (qui emerge la formazione da avvocato di Collins) e continua a essere convinta dell’innocenza del marito. Da qui iniziano diversi viaggi che hanno il puro intento di ricostruire la vicenda, ma che sono ricchi di vicoli ciechi e incontri particolari, come quello con Miserrimus Dexter e l’assistente androgino Ariel.

Valeria arriverà alla verità?

Spoiler: sì. Le indagini la portano a scoprire che la prima moglie non è stata uccisa, ma che si è suicidata con l’arsenico per colpa di Dexter, che conosceva molto bene sia Eustace sia la moglie, perché era un vecchio amico di Eustace. Dexter, follemente innamorato della signora MacAllan, getta benzina sul fuoco ai dubbi che riguardano l’amore del marito nei suoi confronti, finché non la convince a leggere alcune pagine del suo diario, in cui emerge la verità dei suoi sentimenti: egli non la ama. Quella rivelazione è un fulmine a ciel sereno per Sarah, ma ciò che la fa stare ancora più male e che la porta al suicidio è il senso di colpa per aver aperto quel diario e, di conseguenza, per essersi fatta condizionare da Dexter, che continua a opprimerla con le sue dichiarazioni di amore e con un bieco ricatto. Sarah, allora, scrive una lettera al marito in cui confessa tutto, compresa la volontà di uccidersi con il veleno. La lettera diventa l’unico mezzo per scagionare chiunque fosse stato accusato di omicidio, ma – indovinate un po’ – di questa lettera non si sapeva nulla perché era stata nascosta. Valeria la ritrova in pessime condizioni e riesce a farla “ricostruire”, arrivando alla verità e potendo cancellare la macchina che il marito si porta dietro.

L’elemento del veleno non è un caso per un romanzo vittoriano. Le condizioni di vita erano degradanti e sudice, anche per le classi sociali più ricche, che, anzi, dovevano “rispettare” canoni di esteriorità rigidi. Per questa ragione molti, ma soprattutto le donne, assumevano piccole dosi di arsenico per ottenere il cosiddetto “pallore d’arsenico”, che conferiva all’incarnato un colorito pallido, simbolo di purezza e ben visto dalla società. L’arsenico non era difficile da trovare, era presente in ogni casa, perché si usava contro i topi e per “igienizzare” i letti. Sebbene una bottiglia vuota di veleno avrebbe fatto sospettare qualunque medico o detective, sarebbe stato facile giustificarsi con un uso eccessivo per combattere qualche infestazione di topi. Così, il veleno diventa la perfetta arma del delitto, adottata da qui in poi per qualsiasi giallo poliziesco.

Alessandra Tiesi

Fonti

Wilkie Collins, La legge e la signora, Fazi Editore.

https://www.britannica.com/biography/Wilkie-Collins

Note

  1.  https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-legge-la-signora/ ↩︎

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