In un pomeriggio di fine inverno abbiamo avuto modo di parlare con uno dei venditori di usato più noti e apprezzati di Torino: il barone Ostu, al secolo Federico Ostuni. Davanti a una Mole Cola, in quel del Kontiki (orgoglio torinese in quanto prima sede fisica del Fridays For Future in Italia), ci è stata data la possibilità di conoscere un po’ meglio lui, la sua attività e la sua visione del mondo.

Cortesia di Green Pea: https://www.greenpea.com/wp-content/uploads/2022/01/baroneostu_greenpea_1.jpg
Allora, tanto per cominciare: signor barone, possiamo darle del tu?
Permesso accordato!
Onorati. Come nascono il titolo, barone Ostu, e il progetto che molti conoscono?
Nasce alle superiori. “Barone” era il titolo che mi avevano dato i miei compagni di classe per scherzare, dato che già dall’epoca ero estremamente pacato, tranquillo; poi ho unito “Barone” al suffisso Ostu, che è l’inizio del mio cognome.
Purtroppo è una domanda di rito, forse un po’ noiosa, ma dovendo introdurre il personaggio… come parte l’attività?
L’attività parte dalle magliette da calcio che dipingevo per una squadra di Torino, che mi pagava con le magliette indossate dai giocatori, che a mia volta rivendevo; prima su internet, poi al Balôn (noto mercato dell’usato di Torino, n.d.R.). Da quel momento mi sono appassionato a questo mondo e una volta ho fatto quello che si chiama decluttering, cioè svuotare l’armadio e rivendere tutto quello che non indossavo più. Si è aperto un mondo… un sacco di persone si sono avvicinate al banco, non il solito classico maschio etero cis basic [sic!]. Poi una volta un mio collega mi disse: “Ho dei jeans Versace macchiati, te li regalo, inventati qualcosa”, e io ci ho disegnato sopra. Il ragazzo che li ha comprati, nel 2017, li ha ancora. Da allora ho capito quale fosse la mia strada.
Con un occhio di riguardo alla sostenibilità.
Assolutamente, ma è venuta dopo. Non nasco come progetto di sostenibilità, nasco come vendita di usato, poi la mia ricerca personale – ma anche la mia vita – mi ha portato in quella direzione.
Dal momento che ne stiamo parlando: comprare usato può risolvere la questione ambientale? Oppure va affiancato ad altri gesti concreti?
Ti do una risposta che quasi nessun collega darebbe: noi dell’usato purtroppo siamo l’ultima catena della sostenibilità, perché siamo solo la fine di un ciclo. Come una dieta parte dalla spesa, così la sostenibilità inizia quando compriamo, quindi… comprare usato è un’ottima pratica, però non è l’unica e non deve essere la più importante. Secondo me è fondamentale comprare di meno il nuovo: consumare meno, consumare meglio e comprare usato, se si può, altrimenti nuovo, ma di più alta qualità. Non voglio generalizzare troppo, ma la sostenibilità parte dal consumo etico, secondo me, da cui poi deriva una produzione etica. Vado contro il mio interesse, ma lo dico per il pianeta!
Visto che è saltato fuori il tema, ci vuoi dire in due parole che ne pensi del mondo di oggi, delle tensioni che lo agitano? Come un consumo più etico possa avere delle influenze positive?
Le influenze positive le ha di sicuro. Ci sono disastri ambientali come il deserto di Atacama, in Cile, o il lago di Aral, in Uzbekistan, causati dalla produzione sfrenata di fast fashion. Il loro butterfly effect è anche sulle tensioni politiche. Adesso ne stiamo vivendo una che ha raggiunto l’apice, visto che dura da anni, ma l’abbigliamento è causa di conflitti in zone dell’Africa e del sud America. Il nostro comprare usato… certo, non con una singola maglia, ma può alleviare le tensioni.

Cortesia di greenMe: https://www.greenme.it/wp-content/uploads/2021/11/Desierto-Vestido.jpg
C’è poi la questione del boicottaggio, da Gandhi fino ai giorni nostri. In generale, l’acquisto etico può avere impatto sulle politiche economico-sociali dei governi? Parliamo un po’ di massimi sistemi…
La trovo in realtà una cosa molto attuale. Secondo me sì, dal momento che è un settore che dà lavoro a tante persone, in modo più o meno etico e/o regolamentato, soprattutto in zone del mondo dove (a parte il Pakistan, dopo il disastro del Rana Plaza, con più di mille vittime) contratti collettivi e tutele non esistono. Tutto quello che tocchiamo qui, nel fast fashion, è fatto con lo sfruttamento, ma a noi sembrano cose così lontane… in realtà, anche noi veniamo sfruttati: un dipendente del settore avrà una domenica libera ogni due mesi, lavora tutti i giorni, con uno stress psicofisico enorme.
Concordo. Per alleggerire un po’, dopo questi grandi temi, c’è un dibattito molto presente nel mondo della moda: credi che l’eleganza e, in generale, lo stile e il ben vestire siano importanti nella vita di tutti i giorni, a livello personale e sociale?
Ti divido la risposta in due parti. In primo luogo, purtroppo nella società in cui viviamo essere vestiti eleganti può procurarci giovamento. Bisogna fare in modo che il vestito sia solo un modo di coprirci. Nei talk nelle scuole chiedo sempre: “Alzate la mano se avete mai indossato vestiti usati”. Nessun ragazzino lo fa, perché lo associano alla povertà, poi gli ricordo che hanno indossato abiti dismessi. Era prima del cool, quando c’era il concetto del “il vestito mi serve”. In secondo luogo, di mio non giudico dai vestiti, ma dal tessuto [ride]. Il tessuto naturale ha un pregio e un comfort totalmente diverso. Chi arriva con un cappotto di cachemire ha un impatto diverso rispetto a una persona con una maglia in poliestere. Poi non giudico nessuno, ovviamente.
Siamo quasi alla fine. Progetti per il futuro? In particolare riguardo la tua attività.
Adesso ti do uno scoop. Ho abbandonato il mio store da GreenPea, quindi organizzerò eventi solo come ospite, dato che mi piacerebbe portare in giro per l’Italia il mio format “Fuori tutto a 10 euro”, perché, per quanto riconosca il potenziale di internet, non è una cosa mia, sono un po’ boomer da questo punto di vista [ride]. Ho tante persone che mi seguono su Internet, anche da altre parti del Paese, e mi dispiace non dare loro un “pezzo” di me.
Un’ultima domanda (e spero ci scuserai se ci facciamo un po’ i fatti tuoi). Che fai nel tempo libero? Chi è il barone Ostu fuori dal lavoro?
Nel mio poco tempo libero viaggio. Sono appassionato di Formula 1 e motori, di concerti, rock, e poi amo tanto dipingere, anche se, in questo periodo, se ho sei ore libere mi addormento sul divano [ridiamo]. A casa non ho TV né Wi-Fi, provo a non far morire le piante e leggo un po’, in particolare autobiografie. Mi ispirano molto, soprattutto del mondo della musica. Facendo le loro stesse cose, voglio farle meglio, cerco una sorta di Codice Da Vinci [ride]. In musica confesso: amo i Pooh, li ho visti cinque volte!
Ah, questo sì che è un po’ boomer!
Eh, un po’ lo sono, l’ho detto!
Grazie mille del tuo tempo, allora, e in bocca al lupo.
Grazie a voi, ciao!
Vincenzo Ferreri Mastrocinque
