Tutte le parole (sbagliate) dette sul femminicidio di Martina Carbonaro

In questi giorni l’Italia è stata sconvolta da un femminicidio: questa volta, a morire è una ragazzina di 14 anni, Martina Carbonaro, e l’assassino, il suo ex fidanzato, si chiama Alessio Tucci. Si è trattato dell’ennesimo caso in cui, di fronte a un rifiuto, l’unica via d’uscita pare essere l’inflizione della morte, anziché la matura accettazione. Martina è stata uccisa a pietrate, nascosta tra i detriti del casolare in cui il diciannovenne l’aveva condotta e, infine, secondo le dichiarazioni del medico legale, è deceduta dopo lunghi minuti di agonia.
Intorno a questa situazione, come sempre, sui social e mediante i mezzi di comunicazione le persone esprimono la loro opinione, spesso con un uso inappropriato delle parole, facilitate dal fatto di trovarsi dietro uno schermo. Tanti sono gli esempi di questa noncuranza.

I commenti sotto un video di TikTok

Il Corriere della Sera ha pubblicato su TikTok il video di un’intervista alla madre di Martina Carbonaro. È sotto shock, ma ad alcuni appare come fredda e insensibile di fronte alla morte della figlia. Tra i commenti si leggono frasi come: “Ma la signora lo sa che sua figlia è morta?”, “Ma perché è così tranquilla? Sono più preoccupati i genitori dell’assassino che lei”. C’è anche chi difende la madre, dicendo: “Ma quale fredda, non avete idea di quello che starà provando questa donna”, oppure “Ogni tanto non solo le lacrime dimostrano il dolore; questa madre, poverina, sta morendo dentro”.
La maggior parte dei commenti è aggressiva e ciò che inquieta è che sono tutti rivolti alla madre, mentre non si parla né della vittima né dell’assassino. L’attenzione si dovrebbe concentrare maggiormente sull’accaduto e sulla difesa di Martina e di tutta la sua famiglia, afflitta dal dolore.
Un altro video di TikTok, pubblicato da La Stampa, mostra l’intervista del padre della ragazza: gran parte dei commenti è a suo sfavore. Tra questi, si legge: “Ma una famiglia normale a Napoli esiste?”, “A me fa più paura quest’uomo che il ragazzo stesso che ha compiuto il malgesto”, “Il padre è anche colpevole, ché non ha protetto la figlia”. Questi commenti, insieme a quelli rivolti alla madre, dimostrano che il disprezzo può essere diretto verso le persone sbagliate: la colpa viene attribuita al contesto e addirittura al padre, come se i femminicidi interessassero solo una zona d’Italia, come se spettasse al padre proteggere la ragazza e non ai genitori educare i figli al rispetto e all’accettazione del rifiuto.
Coloro che hanno appena perso una figlia non dovrebbero essere toccati dal giudizio pubblico: i commenti negativi contro di loro e, soprattutto, contro le loro emozioni, sono il riflesso di superficialità della società. Il problema non è il singolo femminicidio, ma il fenomeno sociale.

La confessione, le scuse e le difficoltà di Tucci

Tra i tanti articoli scritti su questo femminicidio, se ne trovano alcuni che hanno come tema centrale la figura di Alessio Tucci: viene descritto come un muratore, sono riportate le sue scuse e la sua confessione (Today).
In altri, invece, si parla delle difficoltà che ha affrontato, una volta arrivato in carcere, come la tribolazione nel dormire, per cui è costretto a prendere delle gocce. Si sottolinea, inoltre, che sarebbe adeguato un trasferimento per la gestione senza insidie delle visite dei familiari. (Open)
Descrivendo il lavoro, le caratteristiche e le debolezze di Tucci – come era già successo per Turetta – accade che il lettore, anche inconsciamente, empatizzi con lui e sia distolto dalle sue gravi azioni. Riportare all’interno degli articoli le scuse di Tucci non fa altro che incrementare questo sentimento di pietà.
Il problema, quindi, si ripresenta: l’attenzione dovrebbe essere sulla vittima e sul fenomeno in generale per evitare che questo comportamento venga normalizzato e legittimato.

“Non ero io”: il famoso “raptus”

Nelle confessioni di Tucci emerge soprattutto una dichiarazione: “Non ero io”. Questa è accompagnata dalla frase del suo legale Mario Mangazzo: “L’ha colpita una volta, poi ha sferrato un altro paio di colpi con questa pietra. Era in preda a un raptus, non accettava la fine di questo rapporto”.
Una volta per tutte, il raptus non esiste. “Bisogna cominciare a parlare di cattiveria, aggressività e consapevolezza”, sostiene il dottor Mencacci, ex-presidente della Società Italiana di Psichiatria e attualmente direttore del dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli.
Attribuire il gesto al raptus redime il gesto stesso e lo rende proprio solo di persone con disturbi psichici, perciò distanti dalla fetta più ampia della società. In realtà non è così, perché, come afferma Ugo Fornari, “la patologia mentale riguarda al massimo l’8-10% dei delitti”. Dunque ciò che si ha davanti in queste situazioni non è malattia mentale, ma violenza consapevole.

Linda Milano

Fonti:

https://www.today.it/cronaca/alessio-tucci-confessa-martina-carbonaro-uccisa-pietra-abbraccio-afragola.html

https://www.open.online/2025/05/30/martina-carbonaro-femminiidio-nascosta-viva-alessio-tucci-depistaggio-crudelta-indagini

Fonte immagine in evidenza: L’Espresso

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