La fattoria degli uomini: favole per capirci meglio

La scrittura è fin da sempre stata uno dei mezzi più usati per scandagliare l’animo umano e metterne in luce gli aspetti più o meno profondi. Autori di diversi tempi e luoghi hanno usato la loro penna, direbbe il poeta irlandese Seamus Heaney, per “scavare” sé stessi e la loro storia, ma anche come strumento per educare ed intrattenere.

Il genere che forse più concilia questi due obiettivi è la favola: nel VI secolo a.C., Esopo concepisce diverse storie con lo scopo di edificare la morale dei giovani. Per farlo, l’autore greco propone una raccolta di favole i cui protagonisti si presentano sotto forma di animali antropomorfizzati, simboli di virtù e vizi umani. Tra le più famose, radicate nell’immaginario comune della cultura occidentale, ci sono “La volpe e l’uva” o “La cicala e la formica”, capaci di dare insegnamenti importanti ancora oggi.  Le favole esopiche hanno influenzato e ispirato molti autori dei secoli successivi, che le hanno riprese con lo stesso intento moralizzante.

Nel XVII secolo, in Francia, un altro autore passerà alla storia per le sue Favole: per quasi trent’anni La Fontaine lavora sulla sua raccolta di 240 favole “per istruire gli uomini”. Nella dedica dell’opera, lo scrittore francese dichiara esplicitamente di essersi ispirato ad Esopo: alcuni titoli e favole sono gli stessi, così come gli intenti, ovvero “piacere e divertire”. Nonostante questo, La Fontaine riesce comunque a staccarsi dal suo modello, riflettendo la contemporaneità del “Grande Secolo” francese: ne dipinge i difetti e suggerisce come migliorarli con uno stile elegante, vivace e pieno di ironia.

Nel 1945, George Orwell pubblica La fattoria degli animali, romanzo allegorico per mostrare e criticare le derive totalitarie dell’Unione Sovietica sotto la dittatura di Stalin. Come per le due opere citate sopra, Orwell utilizza gli animali per dipingere gli uomini: ogni personaggio della fattoria corrisponde infatti a precisi personaggi storici protagonisti della Rivoluzione russa e dell’epoca successiva. Segnato dall’esperienza in Catalogna durante la guerra civile spagnola, l’autore inglese, diversamente a molti intellettuali a lui contemporanei, vede con lucidità il cambiamento che stava intraprendendo l’Unione Sovietica, alleata al tempo con il Regno Unito, e per denunciarlo decide di ricorrere al linguaggio universale della favola.

Come hanno dimostrato Esopo e La Fontaine, usare gli animali per mostrare i lati negativi degli uomini rende più accessibile il messaggio da veicolare, ma Orwell fa un passo oltre e spiega così la sua scelta:

[…] Ho visto un ragazzino, forse di dieci anni, che guidava un enorme cavallo da tiro lungo uno stretto sentiero, frustandolo ogni volta che cercava di girare. Mi ha colpito il fatto che se solo questi animali prendessero coscienza della loro forza non dovremmo avere alcun potere su di loro e che gli uomini sfruttano gli animali più o meno allo stesso modo in cui i ricchi sfruttano il proletariato.

George Orwell

Nella favola distopica orwelliana, gli animali non sono solo simbolo di personaggi storici, ma dell’umanità intera: Orwell mette in scena come ognuno di noi potrebbe agire e reagire di fronte alla formazione di un regime  e di come gli uomini, in qualunque forma, siano troppo spesso tentati dal potere.

L’eredità degli autori citati è oggi ancora molto forte: tutti siamo cresciuti con almeno una delle favole classiche o rivisitate con protagonisti animali dalle sembianze umane, che con l’avvento del cinema e della televisione hanno continuato ad avere fortuna grazie cartoni animati in cui erano rappresentati. Nonostante narrazioni secolari di questo tipo però, siamo stati portati a pensare di essere più importanti di tutte le altre specie, sfruttando le altre che consideriamo di minore importanza, mantenendo attuale l’ultimo comandamento della fattoria di Orwell: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”, mentre le favole di Esopo e La Fontaine ci fanno vedere come in realtà siamo meno diversi di quanto pensiamo.

Maël Bertotto

Crediti immagine copertina:

www.carillonregina.com/animal-farm-still-matters/

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