“Desi देसी”: subcultura, etichetta o rivendicazione identitaria?

Le etichette hanno una potenza unica: che siano imposte dall’esterno o create all’interno della propria cerchia di appartenenza, possono avere esiti imprevedibili. Talvolta diventano il simbolo di subculture e generi artistici culturalmente connotati, altre volte ancora possono diventare uno strumento di rivendicazione politica e sociale della propria identità, a fronte ad esempio di una discriminazione subita. Infine possono anche essere rifiutate, perché imposte da chi pensa di poter categorizzare persone, idee, stili e pratiche in un unica omogenea parola. Come ad esempio il termine desi (देसी): poliedrico quanto controverso, è passato dal definire una provenienza geografica molto vasta fino al diventare una parola pop usata addirittura dal canale MTV.

“South Asian? No, Desi!”

Partiamo dall’etimologia: desi è una parola hindusthani1 traducibile come “nazione“, “nazionale” o “paese“. È infatti spesso presente all’interno di parole composte che abbiano a che fare con la nazione o lo stato. Desi al giorno d’oggi rappresenta una vasta gamma di concetti, ma si diffonde originariamente dalle comunità diasporiche asiatiche in America e Inghilterra, come termine con cui persone provenienti da quello che potremmo, in modo grossolano e semplicistico, definire l’Asia meridionale si autorappresentavano. Parliamo di una vasta area geografica che va dall’India al Pakistan, passando dal Bangladesh, fino anche a contemplare lo Sri Lanka e altri stati della zona. Stanchi di essere discriminati con termini dispregiativi e razzisti quali “brown people“, gli immigrati hanno rivendicato tramite questo termine dalla singolare potenza identitaria e culturale la propria appartenenza. Col tempo, il termine è passato dall’identificare le sole persone all’insieme di pratiche della cultura dell’Asia meridionale: cibo, moda, arte, letteratura…quasi a rappresentare la subcultura nel suo insieme.

Dalla lotta per l’Indipendenza a MTV

Un esempio di Desi Pub a Londra, che permetteva addirittura di pagare in rupie.2

È affascinante osservare come quattro semplici lettere possano donare una miriade di sfaccettature e utilizzi: desi è presente nella parola swadesi3, simbolo di quel movimento nazionalista e patriottico sorto a inizio del secolo scorso, da cui scaturirono le varie forze politiche protagoniste dell’Indipendenza indiana. Il suo valore, intrisecamente legato al concetto di autonomia e autarchia, ha guidato il desiderio degli indiani di liberarsi del dominio coloniale e di autogovernarsi. Troviamo poi curiosamente il termine desi come aggettivo dei cosidetti Desi Pubs: locali diffusisi negli anni ’60 e ’70 in Gran Bretagna, a causa della tendenza ghettizzante e discriminatoria di non far accedere immigrati nei locali dei “bianchi”. Se prima indicavano semplicemente un locale gestito da persone provenienti dall’Asia meridionale, oggi costituiscono un luogo dalla grande attrazione turistica e dove il confronto culturale e il sincretismo di tradizioni culinarie diverse trova ampio sfogo. Infine, la stessa emittente televisiva americana MTV decise, anni fa, di targhetizzare parte del proprio palinsesto per un pubblico speficicatamente proveniente dell’Asia meridionale, rinominandolo MTV Desi: ricco di una varietà di contenuti quali video del cinema di Bollywood, documentari su artisti indiani e generi musicali che miscelano influenze occidentali con quelle tradizionali asiatiche. A prova di quanto detto, questo termine avesse ormai assunto una cogenza culturale e identitaria forte, riconosciuta nel senso comune e quindi appetibile, moderna.

Logo del canale MTV Desi, pensato apposta per un target proveniente dal sud-est asiatico. 4

Chi e cosa è Desi?

Ma le etichette hanno anche i loro lati negativi, primo fra tutti la semplicistica e arrogante presunzione di riassumere realtà complesse e poliedriche in una sola parola. Ed è così che non tutti amano essere definiti desi. Perchè per quanto tale termine sia nato proprio per porsi come orgogliosamente diversi dalla maggioranza da cui ci si sentiva emarginati, e quindi celi in sè un senso di orgoglio forte volto a trasmettere una sorta di idilliaca coesione di una comunità pan-asiatica, dall’altra è stata criticata fortemente per il suo facile scadere nell’omogeneizzazione. D’altronde come si è detto, quando si parla di desi ci si riferisce ad un’area geografica molto vasta, con tradizioni, lingue e storie talvolta drasticamente differenti. Quanto può essere mai inclusivo bollare tutto con una parola così semplice? C’è addirittura chi pensa che sia ancora più offensivo che altri termini dispregiativi, perchè cancella la diversità culturale in nome di una particolare comunità di riferimento (quella indiana settentrionale). 5

Al di là delle controversie e dei singoli pareri, è affascinante osservare l’evoluzione di una parola e il suo diventare veicolo non solo di un significato, ma dell’identità: fin dalle sue origini, desi non è stato altro che un modo di esprimere il legame con le proprie radici, con il proprio mondo, per tutti coloro che, protagonisti di una migrazione, hanno dovuto ricostruire i fili della propria appartenenza e riposizionarsi rispetto ad un mondo esterno spesso minaccioso nei loro confronti. È ulteriormente sorprendente constatare come, pur nascendo con un carattere orgoliosamente nazionale, il termine desi abbia finito col diventare allo stesso tempo e in modo opposto simbolo del sincretismo culturale che attraversa inevitabilmente ogni cultura e comunità diasporica.

Rachele Gatto

Fonti & note

  1. L’hindusthani è una delle miriadi di lingue parlate in India, diffusa sopratutto nella regione nord-occidentale, sintesi dell’hindi e dell’urdu. Il termine è prounciabile sia come traslitterato oppure come “deshi“. ↩︎
  2. https://www.atlasobscura.com/articles/desi-pubs ↩︎
  3. Termine composto da swa (da sé, per proprio conto) e desi; viene ancora oggi utilizzato per esprimere qualsiasi prodotto abbia origine e sia fatto in India. ↩︎
  4. https://www.flowjournal.org/2009/06/what-brown-cannot-do-for-you-mtv-desi-diasporic-youth-culture-and-the-limits-of-televisionaswin-punathambekarthe-university-of-michigan/ ↩︎
  5. https://scroll.in/global/975071/is-the-term-desi-offensive-some-south-asian-americans-think-so ↩︎

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di Paola Stella Paola Stella ha detto:

    🎀 Bell’articolo su una parola e sulle considerazioni derivanti

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    1. Avatar di Rachele Gatto Rachele Gatto ha detto:

      Grazie mille!

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