Non una di meno

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Sara Campanella, studentessa ventiduenne di Tecniche di Laboratorio Biomedico presso l’Università di Messina, è l’undicesima vittima di femminicidio in Italia da gennaio 2025. Accusato del suo omicidio è Stefano Argentino, collega di studi della giovane, che l’avrebbe aggredita davanti a una fermata dell’autobus infliggendole diverse coltellate.

La vicenda

Secondo le prime indagini, come dimostrano le chat di WhatsApp e secondo le dichiarazioni dello stesso Argentino nel corso dell’interrogatorio, il giovane avrebbe contattato più volte Sara, inizialmente per confrontare alcuni appunti e, successivamente, per farle delle avance, chiedendole diverse volte di uscire, senza ricevere risposta.
Con il passare dei giorni e l’aumentare dei messaggi, l’ossessione del giovane pareva crescere sempre di più. Alcune colleghe hanno riferito come più volte Sara avrebbe anche affermato di sentirsi seguita da Argentino.
Nonostante questi campanelli d’allarme, la storia di Sara è finita in tragedia proprio questo 31 marzo.

Perché femminicidio?

Con femminicidio ci riferiamo oggi a quegli omicidi che hanno come vittime donne, uccise da uomini, a causa del loro genere di appartenenza.
L’origine dell’utilizzo del termine risale alla seconda metà del Novecento, quando si riferiva prettamente a “omicidi le cui vittime sono donne”. Grazie agli studi dell’autrice e sociologa sudafricana Diana E. H. Russel, si è giunti alla categoria criminologica del femminicidio come la intendiamo attualmente.

La cultura del possesso

La cultura del possesso: la percezione del partner al pari di una “proprietà” è uno dei comuni denominatori dei casi di femminicidio. Deriva da retaggi culturali e sociali con radici storiche complesse.
Prendiamo in analisi, ad esempio, alcune evoluzioni legislative italiane: le donne in Italia ottennero il diritto di voto a partire dal 1946, la legge sul divorzio entrò in vigore il 1° dicembre 1970, soltanto 50 anni fa a una donna non sposata non era concesso avere un conto in banca senza l’autorizzazione del marito e delitto d’onore e matrimonio riparatore furono abrogati nel 1981.
In un Paese in cui le stesse leggi hanno subordinato per secoli le donne agli uomini, non è così sorprendente che queste venissero considerate “proprietà”, prima del padre e poi del marito.
L’Italia, come molti altri Paesi, è profondamente patriarcale e, nel nostro caso, anche la forte presenza del cattolicesimo ha giocato in questo senso un ruolo fondamentale.

I recenti casi italiani

In questi giorni il caso di Sara Campanella ha acquisito maggiore rilievo, con il ritrovamento, in una zona boschiva a sud-est di Roma, del corpo della giovane Ilaria Sula, a soli due giorni di distanza dall’omicidio di Messina.
RomaToday riporta le parole del presunto assassino, ex fidanzato di Ilaria, durante l’interrogatorio: “L’ho uccisa per gelosia, ma l’amavo”.
Lo schema resta pressoché invariato: ossessione e possesso che diventano violenza.
Così, in meno di 24 ore, rabbia e frustrazione pervadono tutta l’Italia: da nord a sud, non si contano le decine di marce, manifestazioni e cortei per commemorare, chiedere giustizia per tutte le vittime di femminicidio. Da Torino a Milano, Roma, Bologna, Messina, vie e piazze si riempiono al grido di “Non una di meno”, “Non ci resta che la rabbia” e “Ci vogliamo vive”.

Quali sono le soluzioni

Secondo i dati dell’Istat, nel 2023 sono stati commessi 117 femminicidi, nello stesso anno la Polizia di Stato ha raccolto 13.793 richieste di aiuto per episodi di violenza domestica e tra il 2022 e il 2023 il 13,6% di donne ha subito violenze fisiche o sessuali da ex-partner o partner.
In risposta alle richieste di cambiamento, mercoledì 19 marzo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di disegno di legge “Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”. La proposta di introduzione del delitto di femminicidio è un passo sì importante, ma non è la “soluzione”, poiché tutto ciò che avviene dopo un femminicidio non può essere la “soluzione”.
È necessario investire sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, promuovere progetti e campagne di sensibilizzazione, garantire alle vittime di violenza maggiore sostegno e sicurezza attraverso le forze dell’ordine con protocolli più efficienti. È fondamentale lavorare su convenzioni sociali e sui retaggi culturali che rappresentano il sottotesto della disuguaglianza di genere.
Questi sono solo alcuni dei fronti sui quali lavorare, affinché un giorno davvero si possa dire “non una di meno”.

Alice Musto

Numero antiviolenza antistalking 1522

Fonti:

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