Studenti & influencer – Parte 1: Arianna e DIPAROLE

Questo articolo è il primo di una piccola rubrica che intende esplorare l’intersezione tra il mondo social e quello universitario, in particolare dando voce a tre studenti che, tra esami, lezioni e incertezze della gioventù, cercano di mandare avanti un loro progetto da content creator attraverso un profilo, e forse chissà, in un futuro diventare degli influencer. Perché da piccole idee, passioni e dalle immense opportunità che offrono ormai i social media, si può davvero partire dal proprio piccolo angolo virtuale per creare qualcosa di più grande nel proprio futuro. Qui parleremo di Arianna di Pascale e del suo intrigante progetto a metà fra una lezione di linguistica e un tabloid sulla cultura pop: il profilo DIPAROLE.

Per cominciare potresti presentarti: chi sei, cosa fai e cos’è DIPAROLE?

Ciao, io sono Arianna: attualmente faccio il primo anno di magistrale in Scienze Linguistiche all’Università di Torino; in triennale ho fatto Culture e Letterature del Mondo Moderno, che riguarda la comparatistica e quindi un background un po’ misto e insolito per l’ambito accademico della linguistica. Però questa mi ha sempre appassionato da quando l’ho scoperta all’università; è una materia che non si fa alle superiori, anche se io ho scoperto dopo che essa è ovunque, soprattutto a scuola. Secondo me è una materia per persone curiose, e io mi ritengo tale. Ciò mi porta alla mia pagina Instagram, DIPAROLE, che ho aperto proprio per essere uno spunto per studiare cose interessanti, ma in particolare renderle fruibili. Ho avuto infatti l’impressione che i corsi diciamo scolastici siano sempre posti in modo un poelitario, e le spiegazioni fatte apposta per essere difficili, chiuse. Perciò questa pagina nasce sia per me, come occasione per approfondire, ma soprattutto per rendere partecipi gli altri delle cose che a me appassionano, in modo semplice, fruibile e interessante.

Da dove nasce il nome “DIPAROLE”?

Il nome in realtà deriva da un mio soprannome, perché di cognome mi chiamo “di Pascale”: un cognome spesso difficile, perché mi chiedono sempre com’è scritto? Per abbreviarlo uso “dipa”, perciò è un gioco di parole: il mio cognome, le parole e anche la parola “role” in inglese, ad esprimere che abbiamo ruoli diversi. La parola è un termine difficile in linguistica, molto ambiguo perché vuol dire tutto e niente, ha tanti significati, ed è proprio quell’ambiguità che mi interessa. Perciò il nome non è scelto a caso: io voglio parlare di parole in senso trasversale, non solo linguistico, ma anche della letteratura, della cultura più generale ecc… Ciò mi permette di coprire un ambito molto ampio, e mi piace questa ambiguità, mi permette di non scegliere. Io sono sempre stata una persona che vuole approfondire, ma non mi fa paura uscire dal mio ambito per farlo. E forse è per questo che fra tutti i miei colleghi di triennale mi ritrovo da sola a fare linguistica. Mi mancava quella parte più tecnica. Ma sono molto contenta perché credo sia un ambito molto interessante e attuale.

Un profilo in cui Arianna ha cercato di mettere tanto di sé stessa e di ciò che cerca, a partire dal colore predominante, il rosa, che ha anche qui un significato ulteriore.

A me il rosa non è piaciuto per tantissimo tempo, da piccola mi rifiutavo di avere qualsiasi cosa rosa, perchè era “da femmina”. Ma il problema è proprio quello: io rifiutavo un ideale femminile che mi era stato imposto, ma questo stesso rifiuto era un’imposizione. Ognuno di noi invece è libero di decidere cosa è femminile o maschile, andando contro i canoni di genere, ma anche rispettandoli. Per me usare il rosa nel logo di DIPAROLE è una rivincita contro i bias che mi sono stati imposti nella formazione. Quella percezione che ho sempre avuto intorno a me che per essere rispettata e avere successo non dovessi essere troppo “femminile”. Invece puoi essere tutto quello vuoi e apparire come vuoi, e nulla di tutto ciò diminusice il tuo valore. Il rosa è affermazione di me, della mia identità, oltre tutti gli steroptipi a cui viene associato questo colore.

L’idea alla base del suo profilo è di farlo non solo per il pubblico, come in un rapporto dove si insegna ciò che gli altri non sanno, ma in un’ottica di condivisione e comune scoperta.

Proprio perché parlavi di questa ambiguità che cerchi, il non rinchiudere per forza tutto in un solo compartimento, si può notare come la tua pagina spazi dalla letteratura alla linguistica, finendo anche nella cultura pop e nei meme. Dove trovi l’ispirazione per i contenuti, oltre alla curiosità che hai già citato? E in questi contenuti quanto e cosa metti di ciò che studi?

Partendo dalla fine, i meme sono una mia grande passione, lo sono sempre stati e ne sono una grande produttrice. L’ispirazione viene dalla curiosità sì, perché la puoi trovare un po’ ovunque: a scuola ma anche passando davanti ad un cartellone pubblicitario e chiedendoti “perché l’hanno scritto cosi?”. Penso che la creatività sia un muscolo che vada allenato, perciò di cose curiose ne puoi trovare in giro se hai le lenti giuste per osservare. Sicuramente anche ciò che studio ha un grande impatto nelle mie ispirazioni: penso infatti che ci siano valori e concetti racchiusi in queste discipline che sono stupendi, sempre attuali, ma non conosciuti perché provengono da fonti difficili. Mantengono la loro patina vecchia ed elitaria, che li allontana dalla gente. Nel mio profilo cerco però di non usare troppo di ciò che studio: penso che ci sia un limite. Io d’altronde creo pillole di cultura e curiosità, anche se il mio progetto futuro è di creare un podcast di approfondimento. Instagram e Tik Tok sono un bellissimo modo per avvicinare il pubblico, facendogli venire voglia di approfondire, ma non è lo spazio stesso per andare fino in fondo con i temi. Lavorare per pillole è differente, e talvolta più difficile che approfondire, visto che non è affatto scontato riuscire a condensare in un minuto e mezzo di lettura o video cosa voglio trasmettere. Molte volte ho trovato infatti difficile trovare delle cose adeguate al quel tipo di formato. Con un mezzo come il podcast è invece secondo me più semplice trattare un argomento nella sua totalità, restituendo anche un senso di profondità che rende giustizia a ciò di cui si parla. La tendenza dei social è semplificare e rendere tutto fruibile in pochissimo tempo o spazio, ma purtroppo non è così. L’importante per me perciò è far venire una sorta di acquolina in bocca, curando al massimo i contenuti per renderli interessanti e volti a stimolare un approfondimento.

Una via di mezzo fra il cercare di rendere accessibili e accattivanti concetti spesso visti come troppo letterari ed elitari, ma allo stesso tempo restituire la complessità che è loro propria, non sminuendoli e costringendoli nel poco spazio lasciato dai social.

Mi piace molto ultimamente associare un soggetto della cultura pop ad un concetto teorico: l’ho fatto con Barbie, che è stato un vero e proprio fenomeno mediatico, e che per me è stato molto importante, quasi un crossover della mia vita. Studiare per preparare i contenuti su questo film è stato molto stimolante, perché mi ha permesso di adattare una bambola con cui sono cresciuta a temi che studio. Oppure l’ultimo argomento che ho trattato, la pick-me girl, a cui ho fatto riferimento con alcuni personaggi attuali e conosciuti come Bella Swan di Twilight, pur se questo modello non ce lo siamo inventate ora ma era già presente nella letteratura di decenni fa. Siamo in fondo figli/figlie di un modello culturale che continua, e credo sia bello confrontarlo con modelli culturali diversi da quello corrente, che ti permettono di avere di una lente di lettura più ampia.

Anche per non scadere negli stereotipi con cui di solito ci si affaccia al passato…

Quello è un peccato: il passato “vecchio” è un po’ triste. È vero che ci sono certi concetti che posti in un certo modo non sono più attuali, ma la sfida sta proprio nel renderli tali. E se conosci la storia conosci il futuro, le dinamiche sociali, la natura umana…e sei in grado di muoverti e leggere il mondo. Con la mia pagina è un obiettivo fin troppo ampio, ma mi piace pensare che sto portando un pezzettino di educazione nella vita di qualcuno. Qualcosa di molto prezioso.

Molto poetico, ma in fondo sono tutte queste piccole gocce che creano un oceano…Parlando di tempo, quanto è difficile o meno conciliare questa passione/aspirazione con la vita universitaria e gli impegni personali?

Tanto: non pensavo ci volesse così tanto tempo. Tu vedi il minuto e mezzo o la slide, ma io magari ci ho messo tre ore per preparare tutto, tra decidere cosa dire, come dirlo, registrare, editare, soprattutto il video che è molto dispendioso dal punto di vista del tempo. Alla creazione dei video poi si aggiunge l’immagine personale da tenere in considerazione: ci si mette davanti ad una telecamera e si parla, e ciò non è scontato. Bisogna far pace con la propria immagine nel video, magari non si è così tranquilli e può diventare fonte di insicurezza. Oltre al tempo, perciò, ci vuole anche sicurezza e predisposizione psico-emotiva, se si vogliono fare le cose bene. Il discorso perciò è molto il rapporto tempo-risultato: non posso dedicare tre ore del mio tempo a qualcosa che sui social ha una vita di mezz’ora. Nell’ultimo periodo, in verità, mi sono presa una pausa, staccandomi un po’ dalla pagina per impegni personali: altrimenti si entra in un meccanismo malsano per cui si deve produrre, fare, pubblicare, finendo col diventare pesante. E non è giusto che sia così, dato che non lo faccio (ancora) per lavoro ma per passione. Perciò sì, ci vuole tanto tempo, e bisogna esserne consapevoli anche da consumatori. I social ci hanno dato l’illusione che tutto sia pronto subito, arrivando ad esigere tutto a disposizione in ogni momento. Un modello di consumo che è tossico, soprattutto umanamente. A me in primis a volte sfugge il fatto che dietro ad un profilo ci sia una persona con i suoi affari. Perciò è errato costringere – e costringermi- a fare troppo.

Restando sull’argomento volevo chiederti, cosa ne pensi della divulgazione umanistica sui social? Visto che tu stessa vuoi buttarti in questo ambito, col podcast di cui mi parlavi. Come pensi sia percepita o rappresentata?

La divulgazione umanistica è sempre un gradino indietro rispetto a quello scientifica, sia rispetto ai numeri, sia per la sua percezione. Anche quando mi sono iscritta al mio corso tutti mi chiedevano “ma poi cosa fai, insegni?”. A dimostrazione di come si pensi che quella sia l’unica strada se si studia in tale ambito, e io non devo essere costretta a pensare che lo sia. Perciò le materie umanistiche sono sempre percepite come un po’ “meno” in tutti sensi: utili, fruibili, di successo personale, economico…Credo che questo modello sia proprio errato alla base: le opportunità si creano giorno dopo giorno, e non dipendono soltanto dalla propria facoltà. Viviamo poi in un modo sempre più complesso e difficile, in cui servono tante competenze e capacità, molta più consapevolezza e autonomia di pensiero, e credo che questo sia il vero valore della cultura in sé da esaltare, che sia umanistica, scientifica o altro. Di divulgatori umanistici non ne conosco tanti, ma soprattutto non ne conosco tanti famosi: penso ad esempio a Barbero, però lui è stato molto bravo a crearsi un personaggio, una brand identity. Questa differenza è dovuta anche al fatto che la società stessa spinge molto sulle materie STEM, perdendo quello che c’è dietro. Sono un po’ svantaggiati da questa atmosfera culturale.

Per concludere, anche se ce lo hai già un po’ accennato, quali sono i tuoi progetti futuri di carriera e le ambizioni che hai per questa pagina?

Come ho detto prima, credo che da cosa nasca cosa, perciò penso che questa pagina sia una buona opportunità per me per imparare, ma anche per un futuro per presentarmi con un valore aggiunto, facendo vedere le conoscenze e le capacità che ho messo in tutto questo progetto. Non credo che DIPAROLE mi porterà al successo personale, ma è comunque una valvola per sperimentare e mettermi alla prova e chissà che magari qualcuno non lo noti e apprezzi il lavoro che faccio. Poi il mio progetto a lungo termine è appunto creare questo podcast, anche se ovviamente ora con la magistrale è ancora nel cassetto. Ma non sai mai le scelte che farai dove di porteranno.

Rachele Gatto

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