Oubaitori
È marzo, la primavera esplode e non esiste migliore concetto di quello dell’Oubaitori per rinascere con essa. In Giappone, tale termine si ricollega alla fioritura dei quattro principali alberi da frutto che animano le strade di Tokyo e tutte le terre nipponiche: il pruno, l’albicocco, il ciliegio e il pesco. Ciascuno di essi regala profumi e giochi cromatici differenti che, come d’incanto, con l’azione del tempo, lasceranno spazio a dolci e rinfrescanti frutti estivi.
Come accade in natura, anche l’umanità è variopinta: ciascuna persona è dotata di un’aura personale, le cui sfumature cambiano da individuo a individuo. Da questo paragone deriva l’idea che siamo tutti diversi e che viviamo secondo modalità e tempi plurimi.
Quando avviene un confronto con altre persone, ciò che manca è la prospettiva del termine di paragone, la storia situata dietro l’individuo con cui ci si rapporta e, così facendo, il campo visivo si restringe e il confronto non è altro che un quadro bidimensionale. L’Oubaitori sradica il confronto tossico, un albero ormai senza vita, dal terreno fertile della gentilezza, del dialogo e dell’accettazione interiore, impiantandovi, al posto, il germoglio di un fiore unico e raro, della specie denominata “Se stessi”.
Ognuno segue il proprio cammino, sia esso un sentiero roccioso, un fiume da guadare o una scala di nuvole: accettare se stessi significa apprezzare i propri colori, il profumo che si emana e i frutti che si producono, indipendentemente da quali essi siano, che si tratti di pesche, prugne, albicocche o ciliegie.
Komorebi
Letteralmente “luce che filtra tra gli alberi”, quella del Komorebi è una filosofia che induce ad apprezzare quell’atmosfera soffusa e “magica” che si ricrea quando il cielo è anticipato da una rete di fitte fronde. Infatti, nonostante gli alberi oscurino il cielo, la luce riesce comunque a penetrare quell’oscurità e a riscaldare l’ambiente sottostante, rendendolo fertile e rigoglioso. Allo stesso modo funzionano i pensieri umani: dal caos che spesso rende poco nitide le miriadi di idee presenti nelle nostre menti, si diramano fasci luminosi e brillanti. Non a caso, infatti, chiamiamo le idee che reputiamo migliori “lampi di genio”!
Aspettare e pensare ad altro, alla fine, renderà chiara e luminosa anche la questione più irrisolta e tormentata.
Wabi-sabi
Della primavera sono celebrate, da tempi antichi, la fertilità, ma soprattutto la bellezza: con i suoi prati fioriti, il vento profumato e il tepore sulla pelle, tutto appare perfetto in questa stagione. Il concetto del Wabi-sabi, però, ricorda che non solo nella perfezione esiste bellezza, ma che è possibile trovarla anche in un fiore appassito, in un frutto acerbo o in una farfalla senz’ali.
Spesso, si tende ad apprezzare ciò che, per convenzione, è considerato amabile. Risulta, così, semplice godere del sole piuttosto che della pioggia o preferire un diamante a un sassolino, ma chi pratica questa filosofia rifiuta il lusso (“wabi“) e coltiva la serenità derivante dalla maturità intellettuale (“sabi“).
Secondo il Wabi-sabi, la vita e i beni materiali sono transitori e, per questo motivo, sfuggevoli. Per perseguire un’esistenza felice e serena, essi vanno lasciati andare cosicché sia possibile acquisire un maggiore livello di umiltà, semplicità e serenità con se stessi, specialmente in solitudine. Dall’isolamento e dalla sofferenza ad esso correlata, conseguono una migliore conoscenza del proprio sé, ma anche del proprio “non-sé”, ossia di ciò che non si è.
Wabi-sabi è la filosofia che consente di cogliere la semplicità nel disordine, la bellezza nelle brutture del mondo, la pace interiore nel disordine sociale.
Alessia Congiu

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