“Mi piacerebbe poter dire che siamo passati dall’avere speranza nel futuro ad averne paura, ma la verità è che molti dei miei coetanei verso il futuro provano solo un senso di estraneità, come se fosse un disastro a cui non potranno partecipare e al quale forse non vogliono neanche assistere.”
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Il 10 maggio scorso Guido Giuliano – 23 anni, di Torino – sulla newsletter “Appunti” di Stefano Feltri, ha pubblicato l’articolo Adulti a basso budget. Dopo poche ore, la sezione dei commenti era inondata da tante opinioni. Nell’articolo, Guido parla di sé, della propria famiglia e della realtà dei suoi amici. Descrive lucidamente la situazione in cui quasi tutti i giovani si trovano: il poco e precario lavoro, l’ambiente che le generazioni precedenti stanno distruggendo, la politica che non li rappresenta, il desiderio utopistico di una casa e di una famiglia. E soprattutto parla di paura del futuro. Non il solito timore che i ragazzi di ogni epoca hanno provato di fronte all’incognito dispiegarsi della vita. Il terrore chiamato in causa è quello di chi sente che non esistono possibilità per salire più in alto di dove siamo arrivati sino ad ora. La soluzione è camminare sulla cresta, cercando di mantenere l’equilibrio.
Da giorni è finalmente scoppiata la bolla sul caro affitti per gli studenti e sul lavoro che, se non c’è, è precario. Molti ragazzi in tutta Italia hanno attivato un sit-in in tenda davanti alle più importanti sedi universitarie e istituzionali, per protestare contro qualcosa di cui tutti erano a conoscenza, ma per cui nessuno voleva alzare un dito. Ecco pronte le telecamere dei telegiornali e i registratori tascabili delle testate, tutti a caccia di un commento. Tante sono state le parole: negazione del diritto allo studio e alla formazione, del diritto ad avere una casa, stipulazione di contratti pirata di locazione, ecc. Ma qualcosa suona strano. Le parole di Guido arrivano in soccorso con la loro tremenda attualità:
“Ho ventitré anni e vivo in un paese in cui i media parlano di giovani se una ragazza, che si laurea in medicina in meno di sei anni, afferma che per lei dormire è “tempo perso”, oppure se una studentessa si impicca nei bagni dell’università per essere stata bocciata a un esame”.
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Ecco qua: si parla DI giovani solo se colpiti da qualche sciagura, anzi, dalla disgrazia che consente ai mass media di fare più impression. Chi è che invece parla CON i giovani? Chi dà loro spazio per parlare?
Alla manifestazione dei sindacati a Milano del 13 maggio, insieme alle 40 mila persone , c’era anche il segretario generale Cgil Maurizio Landini: “Gli studenti che manifestano per garantirsi il diritto allo studio indicano la necessità di avere un futuro” (La Stampa, 14 maggio 2023). Landini riporta la realtà dei fatti: gli studenti, e i giovani in generale, hanno diritto al futuro, ed è per questo che scendono in piazza contro la speculazione degli affitti, la distruzione dell’ambiente, l’omofobia e contro chi i diritti li vuole loro negare, perché troppo bigotto per rendersi conto che il mondo cambia. Vero è che, più che necessità di futuro – che esisterà sempre come parte integrante del Tempo – si dovrebbe parlare di futuro di qualità. Un futuro che non sia solo un tempo verbale, ma una realtà in cui i giovani di qualsiasi decennio possano sentirsi parte integrante della società, e non estranei ad essa.
Se la paura che serpeggia tra i giovani è quella sulla qualità del loro futuro, c’è una grande verità che rimane inascoltata. I ragazzi hanno paura perché sono stati lasciati soli, transennati ai confini della società. Non ci si può quindi stupire dell’enorme calo dell’afflusso giovanile alle urne. Le parole di Guido tornano di nuovo:
“Ho ventitré anni e vivo in un paese in cui la politica, coerentemente con i dati demografici, non parla di futuro, tende a rivolgersi a un elettorato anziano e riserva ai giovani poco spazio nei programmi politici, aumentando in loro un senso di irrilevanza ormai interiorizzato, che li spinge all’astensionismo, se non all’emigrazione”.
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Perché stupirsi di un diciannovenne che non conosce i compiti del Presidente del Consiglio o quello della Repubblica? I nomi della politica sono noti nella loro individualità semi-comica: Sgarbi, Renzi, Meloni, Salvini, Berlusconi. Per i ragazzi sono volti dei social piuttosto che funzionari della Repubblica. Questo perché i partiti politici e i loro programmi rappresentano solamente la fetta anziana di elettorato, con obiettivi a breve termine, adatti all’adulto che vuole “tutto e subito”. Non ci sono propositi a medio-lungo periodo, che invece sanificherebbero il futuro dei giovani.
E i ragazzi restano lontani anche dai luoghi della Storia. Il 25 aprile Mattarella era a Cuneo per la Festa della Liberazione. Dal Teatro Toselli, Mattarella ha rivolto un lungo discorso ai giovani, nuovi testimoni di una memoria che altrimenti scomparirebbe. Quanti giovani erano a teatro? Nemmeno uno. Appello, quello del Presidente, a senso unico, i cui interlocutori erano fuori: folle di ragazzi dietro le transenne, sotto ai portici, sorvegliati a vista dalle forze dell’ordine.
In un’ipotetica main-list dei buoni obiettivi a lungo termine sarebbe da inserire la salute mentale dei ragazzi, un dilemma che di giorno in giorno diventa pressante. Scoppiato contemporaneamente alla fine della pandemia, è cresciuto sempre di più, arrivando a comprendere diverse forme di problemi: alcolismo, disturbi alimentari, depressione, ansia, il fenomeno dello hikikomori, e così via. Chi insegna alle medie o alle superiori – e in certi casi anche alle elementari – sa bene di cosa si tratta. Sempre più ragazzi o bambini dallo sguardo assente e disincantato, estranei a questa realtà sociale che non li rappresenta e in cui infatti non si riconoscono. Sono stati lasciati soli, privi di supporto psicologico a seguito del periodo traumatizzante della pandemia, che ha inferto un segno profondo anche negli adulti. In pochi hanno guardato alle ripercussioni che ci saranno tra qualche decennio a causa di queste ferite insanate: future schiere di adulti che da bambini sono stati divisi dai propri nonni, zii, cugini, amici; che per diverso tempo non hanno potuto sperimentare quella palestra di vita che è la scuola. Bambini che troppo presto hanno sofferto la solitudine, da cui alcuni non sono usciti. Una volta tornati nel mondo – come una seconda nascita – sono stati obbligati a ricominciare con la vita di prima, quella pre-pandemica, senza una protezione. Un aiuto doveva venire dagli adulti, che invece o non hanno prestato attenzione o hanno preferito non vedere, troppo presi “dall’andare avanti” senza prestare un occhio a chi invece faticava a lasciarsi il passato alle spalle.
Il commento della signora Tiziana è l’ultimo pubblicato sotto all’articolo di Guido e forse lascia uno spiraglio aperto tra le generazioni: “Volete uscire da questa situazione disperata e disperante? Come possiamo aiutarvi? Volete essere aiutati? Serve l’aiuto o è inutile o è sbagliato? Riesco a fare solo domande e a domandarmi chi deve dare le risposte. La nostra generazione (boomer) pare abbia fatto solo danni, compreso lottare per un mondo migliore. Allora, per favore, pensateci voi. Occupate spazi, muovetevi. Fate voi come credete e come volete senza aspettare i nostri applausi o le nostre critiche. Il mondo è vostro. Dovete solo prendervelo. Tenete presente che sì, siamo adulti che non vogliamo invecchiare (ma che non possiamo invecchiare), ma siamo anche meno forti, che abbiamo meno futuro”.
Rachele Crosetti
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