Succede frequentemente; arriva un particolare cibo nei nostri mercati, diventa sempre più comune e pian piano entra nelle nostre abitudini alimentari. Sono cibi tipici di luoghi lontani e la pubblicità che li accompagna punta proprio su questo: sono descritti come esotici, diventano una nuova soluzione per migliorare il nostro stile di vita. Sono sani e purificanti, dimagranti, ricchi di sostanza buone… impossibile resistere!Noi li mangiamo per curiosità o per il semplice fatto di trovarli sullo scaffale di un supermercato, perché attratti dall’immagine ad essi associata, e non ci chiediamo nulla a proposito, ma il loro consumo comporta dei problemi per i paesi produttori. Una storia simile è quella della quinoa, una pianta quasi sconosciuta fino al decennio scorso nei paesi occidentali, compresa l’Italia, dove progressivamente è diventata una moda.
La quinoa ha origine in Sudamerica, nei territori delle Ande e precisamente sulle pendici della catena montuosa tra la Bolivia e i paesi vicini. Qui è da secoli la base della alimentazione, fino a quando venne scoperta e amata nei paesi più industrializzati. In breve tempo il settore si adatta per far fronte alla domanda crescente e poter sfruttare l’opportunità di guadagno, Bolivia e Perù diventano i massimi esportatori mondiali con una produzione che raddoppia in pochi anni, arrivando a 50 mila tonnellate nel 2013. L’elevata domanda ha fatto aumentare i prezzi in modo tale da rendere impossibile per la popolazione dei paesi esportatori comprare i prodotti che per loro sono sempre stati alla base dell’alimentazione. Per poter soddisfare la richiesta i terreni sono diventati monocolture, causando delle trasformazioni i cui effetti si fanno sentire sulle popolazioni locali. La quinoa è stata estesa anche nelle pianure, occupando gli spazi dedicati ad un altro settore un tempo fondamentale per il sostentamento: l’allevamento. Il terreno, ora lavorato con i fertilizzanti chimici e sfruttato al massimo, si impoverisce col tempo e ogni anno produce minor quantità.
La situazione che si è creata è quella di un’economia dipendente da una sola produzione, difficilmente convertibile in altro e sottoposta alla domanda e al cambio dei prezzi stabiliti dal resto del mondo; se questi diminuiscono i lavoratori locali non possono recuperare rapidamente le perdite scegliendo di cambiare produzione. Questa eventualità si è concretizzata quando nel mondo si è cominciato a pensare di produrre questa “magica” pianta direttamente nei luoghi con più richiesta, uno scenario che ha messo lavoratori boliviani e peruviani di fronte ad una prospettiva di vaste aree che rimarrebbero inutilizzabili.
Cosa possiamo fare noi in qualità di consumatori? È essenziale essere consapevoli di cosa significhino per i lavoratori e gli abitanti locali i cibi e gli ingredienti di ciò che mangiamo. Sono informazioni che facilmente si trovano su internet, anche se non sempre in modo esaustivo. Ad esempio, attualmente è difficile trovare dati risalenti a dopo il 2018 riguardanti il caso della quinoa, ma quelli presenti sono sufficienti a porre l’attenzione sul nostro modo di consumare. Ciò che è avvenuto sulle Ande è l’opposto di ciò che chiamiamo sviluppo sostenibile e un ennesimo esempio di come la globalizzazione e il mercato internazionale possa essere pericoloso se non avviene in modo sostenibile e attento alle peculiarità locali. Il contatto a livello globale può portare innovazioni e miglioramento ovunque, ma è fondamentale impedire che ciò che ci arricchisce diventi un problema per i paesi da cui proviene.
Anna Franzutti