Torinesi e turisti sono concordi: la Mole Antonelliana è senza ombra di dubbio il simbolo distintivo della città.
Incarnazione delle idee stravaganti dell’Antonelli, che in barba a committenza e amministrazione, a contratti e accordi, progettò un edificio tanto spettacolare quanto inclassificabile. Tant’è che all’inizio i torinesi si dimostrarono alquanto dubbiosi sull’utilizzo dell’edificio.
Col tempo la Mole iniziò ad entrare nelle vite quotidiane dei torinesi, prima come Museo del Risorgimento italiano (lo stesso che ora si trova a Palazzo Carignano) e poi come spazio per commemorazioni ed esposizioni temporanee. Ma il dubbio restò per molto tempo dato che nel 1937 ci si chiedeva «ma è brutta la Mole?», mentre nel 1941 la si definiva come un «vecchio mobile di casa che non si ha il coraggio di archiviare in soffitta».
L’evento che probabilmente determinò l’affetto della città fu il famoso nubifragio del 23 maggio 1953, quando la guglia cadde rovinosamente.
I giornali dell’epoca per spiegare l’evento chiamarono in causa un tornado, un fenomeno esotico che rimandava a praterie del Kansas e a manifestazioni climatiche del tutto aliene alla città. Non sapevano spiegarsi come un evento meteorologico avesse potuto fare quello che, dieci anni prima, non erano riusciti a compiere i bombardamenti che distrussero mezza città.
In ogni caso la guglia cadde: dondolò per qualche istante, si piegò, e poi piombò sul cortile sottostante dopo aver colpito anche la cupola. La stella sulla cima della guglia, che da cinquant’anni sostituiva il Genio alato, ruzzolò via.
I testimoni furono molti. Dai custodi della Rai, situata proprio ai piedi della Mole, che stavano per prepararsi la cena, agli annunciatori radiofonici in procinto di mandare in onda la normale programmazione serale. Si racconta di una donna che, assistendo al crollo da Corso San Maurizio, fu talmente scossa da necessitare il ricovero in ospedale e lì iniziò a delirare sulla sua cara Mole perduta.
La popolazione si mosse subito, a partire da due bambini che si presentarono con i loro risparmi, ben 1800 lire, alla redazione de La Stampa affinché si potesse subito dare il via ad una colletta per la ricostruzione, che non fu affatto semplice. E ancora una volta l’opera antonelliana fu oggetto di polemiche e problematiche; ci fu anche chi, presumibilmente per pura provocazione, si disse pronto ad una totale demolizione dell’edifico.
L’opera di restauro fu complessa e si protrasse per circa sette anni, ma la Mole riuscì a tornare se stessa in tempo per i festeggiamenti del centenario dell’Unità d’Italia.
Ma cosa accadde realmente quella sera del 1953? Cinquant’anni dopo il meteorologo Luca Mercalli spiegò che, nonostante i racconti di un tornado proveniente «da terre lontane e primitive», si era trattato di un semplice ma violento temporale. E nessuno in realtà vide un turbine nonostante le raffiche brutali di vento. Il dato certo è che, alluvioni escluse, fu il maggior episodio meteorologico registrato in città negli ultimi cinque secoli.
Daniela Carrabs